capitolo 25

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Nulla è come prima. Non si torna più indietro. La morte aleggia su di loro, allegoria del volto sereno e disteso del conte posto di fronte a loro.

Non possono fare altro che fingere. Che tacere. Non c'è speranza di un risvolto positivo, ma vogliono sapere fino a dove si spingerà il conte a raccontare.

Così facendo, mettono su due sorrisi poco convincenti e si apprestano ad ascoltare l'uomo parlare.

*

Harry era intrattabile.

Cambiava umore così repentinamente che era impossibile stargli dietro. Celava i suoi malcontenti dietro trincee di lenzuola e cuscini e non mangiava ancora abbastanza.

Avevamo lasciato la casa di Raynolds da una settimana, e pensavo che al sicuro nel mio appartamento, con la nostra privacy e uno spazio interamente nostro, si sarebbe sentito più a suo agio e che, conseguentemente, il suo stato d'animo sarebbe migliorato.

Non faceva altro che lamentarsi di come cucinavo e dietro questa scusa ne approfittava per mangiare lo stretto indispensabile.

Il suo corpo era mutato ad una velocità impressionante.

Si contavano le costole come piccole dune e si intravedevano le vertebre sulla schiena.

Neanche io mi capacitivo di come fosse possibile che il suo fisico avesse subito quel drastico cambiamento in così poco tempo.

Mi era sfuggito qualcosa?

Harry aveva smesso di mangiare già da prima?

Ripercorsi mentalmente i nostri pasti.

L'immagine di un Harry che sminuzza il cibo fino a renderlo poltiglia si parò davanti.

Harry che si alzava da tavola per primo con il piatto stretto al petto e si dirigeva velocemente verso il bagno.

Come avevo fatto a non collegare le due cose?

Sbuffai frustrato pensando a quanta poca cura avevo riposto nei dettagli, eccessivamente preso dall'idillio con Harry.

Londra era stata l'inizio di tutto.

L'inizio del malessere di Harry.

L'avevo trascinato io in quel vortice senza fondo pensando solo a soddisfare i miei desideri, ignorando le proteste silenziose del mio compagno che si stava spegnendo lentamente come il sole al tramonto.

Un tramonto costituito da paure e incubi ad occhi aperti che non riusciva a superare da solo e che cercava silenziosamente di aggrapparsi a me nel vano tentativo che lo recuperassi dalla pozza di sofferenza nella quale era annegato.

Adesso non solo mi sentivo in colpa, ma provavo un moto d'odio nei confronti di me stesso in maniera indicibile.

Dovevo fare qualcosa.

Dovevo agire e in più fretta possibile, altrimenti avrei perso tutto ciò per cui avevo lottato con le unghie e con i denti; ciò che avevo costruito con Harry si era lentamente assopito in un sonno senza senza sogni.

Non incubi, ma il fantasma di un ricordo celato in un carillon senza tempo.

Un carillon...

«Lou»

«Dimmi Harry»

Eravamo in salotto.

Io leggevo un romanzo prestatomi da Harry, mentre lui sfogliava un mio blocco da disegni, con gli ultimi abbozzi su di lui.

Stava rannicchiato sul divano con le gambe strette al petto e una coperta che lo avvolgeva quasi interamente.

Si protese in avanti guardandomi con il panico e il senso di colpa dipinti in volto.

CRONOSTASIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora