12. IL MIO AMATO PLUTONE.

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Fabian era uno specchio pallido e rattristato del viso di Véronique. I suoi tratti smunti contaminavano una bellezza che, molto probabilmente, aveva avuto modo di splendere in passato. Persino quando aveva aperto la porta e con gli occhi lo aveva riconosciuto, Taehyung aveva compreso quanto lontana la felicità fosse dal suo cuore. E non poteva biasimarlo.

Si era affrettato a farli accomodare su si un divano nero e, col viso un po' arrossato e con le spalle tremanti era sparito in un'altra stanza, tornando indietro con una scatola di latta decorata a mano.

«Vedi, come Vivì mi ha detto di te ho dovuto cercare questa scatola» disse.

Taehyung lo scrutò, mordendo l'interno della sua guancia. Le pareti stesse del salotto erano ricoperte di fotografie — gran parte in bianco e nero — e di quadri. Riconobbe una giovanissima Véronique mentre ballava. Inghiottì un groppo di saliva, abbassando nuovamente lo sguardo.

«Non pensavo che qualcuno potesse trovare quella piccola foresta, era così lontana dalla vita frenetica di città. Era lontana da qualsiasi cosa, per quanto io sappia» disse, mentre Fabian apriva la scatola con le mani pallide che tremavano. Véronique li osservava silenziosa, con la mano poggiata sulla schiena di Taehyung.

«Oh io... ero in Corea del Sud per lavoro. Ero un fotografo! Sono sempre stato un amante delle esplorazioni, dell'assenza di tracce umane. Sai, i luoghi dove l'uomo non ha messo piede hanno sempre qualcosa di speciale. Non sono contaminati dalla macchia cattiva che l'essere umano si porta con sé».

E fu in quel momento che Taehyung comprese quanto enigmatica fosse la linea di pensiero di Fabian. Ma la comprendeva.

«Quando ti ho visto lì, fra quei fiori, non ho mai pensato che tu avresti potuto contaminare quel posto, capisci? — sollevò lo sguardo e lo puntò nel suo — Eri... eri puro. Così triste, così felice, così puro. Sicuramente parte del paesaggio» Annuì, tirando fuori una serie di foto. «Non riuscivo a togliermi dalla testa il modo in cui non c'era niente di fuori posto nel fatto che tu ti trovassi lì. Nonostante ci fossi tu era tutto vergine ed incontaminato» concluse, porgendogli infine le foto.

Eccolo lì, fra i fiori. I capelli scuri come cioccolato fondente pieni di petali e la maglia bianca sporca di erba. Per la prima volta comprendeva quanto il suo essere facesse parte di tutto quello di cui la realtà coreana si colorava. Sì, era nato da quella foresta, come una creatura ultraterrena. Si stava osservando non con i suoi occhi ma con gli occhi di uno spettatore. E comprese il suo posto nel mondo. Comprese che c'era qualcosa, un filo sottile che collegava perfettamente tutti gli elementi della sua vita. No, forse un posto nel mondo ce l'aveva per davvero. Fu come sentire la vita scorrere nelle sue vene per la prima volta.

Era così giovane e così bello. Si confondeva con i fiori.

Non sapeva cosa dire. Fabian gli aveva strappato le parole e ci aveva tappezzato il suo cervello. Era tutto un caos di emozioni e parole. Mentre osservava quelle foto, desiderava solo piangere di felicità.

«Vorrei conservare un ricordo migliore, ma purtroppo la Corea mi rammenta solo del mio ritorno, della notizia... di Lisa. Ma tu puoi tenere le foto, davvero. Non è strano il fatto che siamo tutti qui, dopo così tanti anni? Che, in qualche modo, viviamo tutti sui fili della stessa ragnatela?» disse ancora Fabian.

«Sì, è strano...» sussurrò Taehyung. «Grazie Fabian. Posso — posso abbracciarti?».

Fabian sollevò le sopracciglia, stringendosi nelle spalle. Poi annuì.

Il suo petto era caldo come quello di Véronique, ed i suoi capelli rossi profumavano di qualcosa di indecifrabile. Ma, tutti sommato, il suo abbraccio gli ricordava qualcosa di inspiegabilmente buono. Voleva quasi mettersi a piangere.

Parafrasi del DoloreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora