Capitolo 24.

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Ed sheeran-Thinking out loud

-Mmh! Odio quando mi fai cadere! Odio quando mi faccio male per colpa tua! Odio quando mi prendi in giro e odio il fatto che finisco a terra la maggior parte delle volte!-. Mi ero stufata di questo allenamento del cavolo. Ero pur sempre un essere umano, non dovevo spaccarmi tutte le ossa tutti i giorni.

Mi pulii i leggins un po' sporchi e mi alzai. Sentii una piccola risata, ma non ebbi bisogno di girarmi. Sapevo chi era, e ovviamente non proveniva da Isabelle.

Senza proferire parola presi la mia felpa e mi avvicinai a Jace in tutta la calma che riuscii a trovare. Mi fermai di fronte alla sua figura.

-Odio sembrare ridicola-. Gli sussurrai ormai con le lacrime agli occhi. Jace non capii subito e gli indicai Alec con un cenno, che aveva un sorrisino da prendere a schiaffi. Non mi interessava la sua risposta, così camminai a testa alta fino ad uscire dalla palestra.

Nessuno sapeva cosa provavo realmente.

Dentro avevo un uragano di emozioni e il mio unico obiettivo era quello di non far trasparire nulla. Ma non ci potevo riuscire per sempre.

Cercai un panchina e mi sedetti subito con le gambe al petto e le abbracciai.

Chiusi gli occhi e cercai di ricordare la mia vecchia vita, Simon, la signora Smith che di nascosto da mamma ci dava a me e al mio migliore amico delle fette di torta al cioccolato, alle giornate passate ad ascoltare la band di Simon, alla mamma e a Luke. Non mi ero accorta che una calda lacrima era scesa senza permesso. Mi mancava Brooklyn e la mia vecchia vita.

Stavano arrivando,non potevo trattenerle ancora. Mi morsi il labbro e guardai il cielo azzurro. Non piangere, non piangere, mi ripetevo. Ma ormai era troppo tardi. Incominciarono a scendere tutte insieme, calde e pesanti. Ognuna di essere mi solcava il viso e ebbi l'impressione che me lo stessero scavando. Non c'era il bisogno di asciugarle, bisogna affrontarle e basta.

Qualcuno si sedette affianco a me. Era Jace, che guardava davanti a sè, come se stesse pensando a qualcosa di importante. Non avevo voglia di parlare.

-vai via-. Dissi nascondendo la testa tra le mie braccia. Non si mosse,rimase lì in silenzio.

-Sai, Jozsef Eotvos diceva che se sappiamo che un ostacolo è insormontabile,non è più un ostacolo, ma un punto di partenza-. Disse infine. Lo sapevo cosa voleva comunicarmi senza troppo giri di parole.

Nuova vita,nuova città, nuove regole.

Ma io non volevo nulla di tutto questo. Non ero all'altezza.

-non ce la faccio-. Dissi chiudendo gli occhi con forza per poi ricominciare a piangere. Jace mi circondò le spalle facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. Non volevo che nessuno mi vedesse piangere, ma con Jace era diverso. Jace era diverso.

Mi diede un bacio sulla nuca stringendomi a sè. Mi sentivo protetta,capita. Forse era quello che volevo?

-Ti porto a casa-. Disse rivolgendomi un piccolo sorriso. Mi porse la mano e la guardai.

Jace aveva ascoltato il mio silenzio.

La strinsi e uscimmo fuori da quella struttura. Non mi vergognavo a tenergli la mano, anzi. Arrivammo a casa ma mi fermò prima di entrare. Eravamo uno di fronte l'altra. Il suo sguardo era così profondo che non riuscii a muovere nessun muscolo quando mi accarezzò la guancia. Si avvicinò e mi diede un piccolo bacio sul punto che avevo toccato.

-odio essere presa alla sprovvista-. Dissi con un piccolo sorriso. Ed era vero; Jace non era il tipo da bacio sulla guancia. Si avvicinò sorridendo senza smettere di guardare le mie labbra.

-Accontentata-. Detto ciò, appoggiò la mano sulla stessa guancia baciandomi. Poggiai anche io la mano sulla sua.

In quel momento sentivo che era parte della mia vita.

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