Capitolo 12.

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“La paura è una persona che viene a rubarti tutte le possibilità. È la peggior nemica dei sogni e della razionalità e ..” suonarono al campanello. Chiusi il diario delicatamente nascondendolo sotto il cuscino. Mi alzai dal letto e corsi subito ad aprire la porta.

-Chi è?-. Urlai scendendo le scale. Non sentendo risposta, apri la porta lentamente lasciando che solo i miei occhi vedessero l’estraneo.

-SIMON!-. Gridai gettandogli le braccia al collo. Ero così felice che era arrivato, e sorpresa che fosse tornato dopo tre giorni. Avevamo stabilito una volta a settimana, perché (a) la benzina costava e (b) il tratto era troppo lungo per percorrerlo quasi ogni giorno.

-Ehi, mi fai cadere gli occhiali-. Disse cercando di far uscire un braccio dal mio abbraccio per sistemarseli e per spettinarsi i capelli neri. Non aveva mai amato le cose perfette, neanche i capelli.

-Che bella sorpresa! Che ci fai qui?-. Chiesi con il sorriso stampato in faccia. Notai che Simon guardava dentro casa, le labbra serrate.

-No, che ci fa lui qui?-. Sottolineò il ‘lui’. Oh, non sapeva nulla di Jace e .. tutto. Non sapevo se dirglielo oppure no, non l’avevo fatto una volta, non dovevo farlo una seconda?

-Oh, ehm… lui sta... qui-. Abbassai lo sguardo per poi puntarlo su Jace, posizionato vicino la cucina. Gli mimai un ‘aiutami’ ma tutto quello che fece fu un sorriso che mi fece paralizzare.

-Simon-. Gli fece un cenno con la mano in cui aveva il cartone del latte.- Entra dentro, fa freddo fuori-. Aggiunse ed io cercai di trattenere una risata. Aveva esagerato un po’ con la confidenza, inesistente nel suo vocabolario, ma gli mimai un ‘grazie’ lo stesso. Ricambiò con un occhiolino, per poi portare Simon in cucina.

-Vuoi?-. Chiese Jace indicandogli il latte. Simon fece cenno di ‘no’ con la testa per poi perforarmi con lo sguardo.

-Mh, allora, come mai da queste parti?-. Cercò di essere tanto agevole quanto Jace, ma con scarsi risultati che mi fecero trattenere una risata.

-Oh sai, dovevamo parlare con Clary riguardo una certa cosa e mi ha chiesto gentilmente di fermarmi qui, dato che non è conclusa-. La naturalezza con cui lo disse mi fece pensare che tutto fosse stato veramente così semplice. Speravo fosse così. Ma Jace non mi voleva come amica, perciò non sapevo nemmeno perché mi stesse aiutando. O aveva cambiato idea o si era svegliato con la luna dritta. Cercai di convincermi della prima opzione.

-Perché non ci facciamo un giro?-. Chiesi al moro per evitare qualche altra figuraccia. Cosa mi era preso? Perché cercavo di sviare la situazione al mio migliore amico? Devo ammetterlo, ma mi piacque molto il legame di complicità che si era formato con Jace in quei piccoli secondi, che non scorderò mai. Volevo fosse sempre così.

Simon annuì e uscimmo inalando l’aria fresca di dicembre. Speravo con tutto il cuore che sarebbe nevicato, perché non avevo mai visto la neve dal vivo. Doveva essere morbida e fresca e fare la guerra con qualcuno sarebbe stato il mio primo punto da attuare.

-Pensavo… pensavo fosse più scontroso quello lì-. Disse Simon un po’ confuso. L’aggettivo con cui l’aveva denominato mi aveva dato un po’ fastidio. Si chiamava Jace.

-Si, pure io lo pensavo-. Ammisi ricordando il nostro primo incontro in assoluto all’Hunters. Non ci sarei mai tornata lì, a meno che mia madre non avrebbe deciso di ritrasferirci a Brooklyn. Sarebbe stato il primo luogo in cui sarei andata, allora.

-Perché è qui,Clary?-. Chiese serio. Avevo deciso che la versione di Jace andasse bene. Meno cose sapeva meno pericolo rischiava di correre in eventuali situazioni.

-Te l’ha detto Jace-. Cercai di non mostrare nessun segno dubbitatorio.

-Perché non andiamo al Edward’s? Ho voglia di succo al mirtillo nero-. Aggiunsi. Sapevo che avevo gusti diversi dalla massa, ma era buonissimo il succo al mirtillo. Comunque il cibo non faceva parlare e stranamente non avevo voglia di parlare con Simon, con il mio migliore amico.

Appena entrati si stava per sedere in quel tavolino, ma lo fermai subito.

Si stava sedendo nell’ultimo tavolo a sinistra, quello vicino al bancone, quello dove le ordinazioni arrivano subito, quello dove dietro c’è il termosifone, quello dove io e Jace eravamo seduti qualche giorno fa. Non so per quale sconosciuto motivo, ma non mi andava bene che Simon si sedesse proprio lì, cosi ne scelsi un altro. Alla fine Simon si era aperto e mi ha raccontato come andava a Brooklyn o con la sua band, i Spreez. Già, un nome alquanto buffo. Sta di fatto che si fece l’una e mezza, così decidemmo di tornare a casa per pranzo.

Devo dire che avere a tavola sia Jace che Simon non mi allettava.

Mia madre stava lavorando così decisi di cucinare.

-Vuoi aiuto?-. Mi sussurrò Jace all’orecchio provocandomi una miriade di esplosioni.

-Se continui così mi dovrai fare da crocerossino-. Sussurrai a mia volta sul suo orecchio mentre tagliava le patate al mio fianco.

-Correrò il rischio-. Affermò guardandomi. Ci sorridemmo per poi continuare a fare il nostro lavoro.

Finalmente pronto il pranzo, misi a tavola patate al forno con pasta al sugo. Qualcosa di semplice.

Ci scambiammo sguardi per tutto il pranzo e mi dissero che era tutto davvero buono, anche se Jace mi aveva aiutato. Simon si offrì di sparecchiare e Jace insistette per lavare i piatti. Diceva che avevo fatto tutto e che voleva fare una piccola parte.

-Vai a riposarti-. Riaffermò dandomi un bacio sulla fronte, che fece rimanere basita sia me che Simon.

-Okay-. Risposi timidamente, per poi buttarmi sul divano e cadere in un sonno profondo. Volevo sperare che non si mangiassero a vicenda.

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