Capitolo 4.

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Occhi stupendi occupavano la mia visuale, un qualcosa di sfocato. Delle nocche accarezzavano il mio avanbraccio provocandomi delle scosse in tutta la spina dorsale. Una voce soave rimbombava sfocata ripetendo sempre le stesse parole. Sei come me. Le stesse immagini si ripetevano soprapponendo la voce che si ripeteva ormai senza sosta.

 Un segno che sfumava i suoi lati comparve nell’aria, somigliante alla testa di un ariete.

La risata di una bambina che giocava con una bambola. Saltellava per il corridoio felice. La sua figura che apriva una porta. Una donna che si nascondeva dei segni sulla pelle con un qualche prodotto.

“Mamma cosa nascondi?” la madre non l’aveva proprio sentita arrivare. Chiuse la porta, nascose il tutto e le fece mettere il cappotto per poi uscire nel freddo inverno di Brooklyn, dove la neve era troppo alta.

Jace che non la guardava. “Son un cacciatore di demoni, Clary”. “E tu sei come me”.

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Mi alzai improvvisamente con la fronte tutta sudata. Pensai a gli avvenimenti di quella sera e… perché le finestre facevano entrare la luce? E perché ero seduta su un letto bianco che non era né il mio né quello di mia madre? I raggi del sole mi colpirono proprio gli occhi accecandomi. Caddi dal letto proprio come una patata lessa. Menomale che non c’era nessuno. Girare la testa di scatto non mi aiutò. Un forte giramento di testa mi fece portare le mani alle tempie, massaggiandole. Di fronte, un ragazzo mi guardava dall’uscio del bagno in una nuvola di umidità.

Okay, avevo parlato troppo presto.

-Ti conviene stare a letto, se non vuoi cadere di nuovo-. Jace si stava strofinando i capelli con una asciugamano bianca e rideva sotto i baffi. Indossava una camicia di flanella grigia, dei pantaloni neri e, ovviamente, era a piedi nudi. Risalii sul letto beandomi della sua morbidezza cercando di nascondere il rossore delle mie guance per la figuraccia.

-Ti sei fatto la doccia?-. Sviai il discorso, anche se sinceramente potevo scegliere un argomento migliore.

-No, ho invocato l’Angelo dell’umidità-. Rispose prendendomi in giro. Sembravo davvero così stupida?

-Uh, pensavo ti fossi deciso a darti una lavata, peccato-. Scherzai, stupendomi di me stessa. Davvero avevo fatto una battuta con la persona più insopportabile di questo mondo?

-Certo Clary che ho fatto una doccia-. Sbuffò. –Fai domande così prevedibili-. Aggiunse. Benvenuto egocentrismo.

-Ne sei proprio sicuro? La faccenda dell’Angelo mi convinceva di più-. Affermai non smettendo di fissarlo. Non stava fermo un secondo, passava da una parte della stanza all’altra.

-Ero dentro la doccia-. Finalmente si stabilì ai piedi del letto dove prese un baule prendendo ciò che vi conteneva e poggiandolo fuori. Dal suono sembravano… armi?

-Pure io mi posso mettere dentro la doccia e leggere un libro-. A questa affermazione si fermò a guardarmi. Un luccichio di divertimento gli attraversò e sembrava quasi che stesse accennando un sorriso.

-Certo, Clary. Come no… comunque, in caso te lo stessi chiedendo anche se vedo che non ti sta passando neanche per l’anticamera del cervello, ieri sera sei svenuta-. Il modo in cui lo disse lo fece sembrare come un avvenimento che accadeva tutti i giorni. D’altronde, cosa non diceva lui che non sembrava normale?

-Cosa? Sono svenuta? Ero con te. Simon, mia madre … oh no. No, no, no. Devo chiamarla-. Dissi cercando di non pensare al trapano che mi stava spaccando in due la testa e. Si mosse verso il comodino arrivando alla mia destra.

-Calma, tua madre sa tutto. E riguardo a Simon… beh, lui no-. Mi rispose indaffarato a cercare non so cosa guardandomi a tratti. Incominciò ad allacciarsi le scarpe.

-Calma? Hai detto a mia madre che ero con uno sconosciuto che uccide demoni per hobby e per puro divertimento influenza gli altri a questo stile di vita, se si può considerare tale, e mi chiedi se posso stare calma?!-. Incominciai a gesticolare dalla mia postazione a gambe incrociate sul letto, enfatizzando di più il significato delle mie parole. Jace si era allontanato e si dirigeva verso l’armadio accanto alla porta. Se non fosse per l’ospitalità barra sequestro di persona, gli avrei già lanciato una ciabatta. Quel suo essere strafottente era davvero irritante, non lo sopportavo!

Era indaffarato a cercare qualcosa, quando incominciò a fare un via vai, buttando sul letto diverse armi: coltelli, lance, frecce, pure una balestra, e chi più ne ha, più ne metta. Non mi aveva minimamente calcolato. Sbuffai.

-Almeno mi dici che stai facendo?-. Chiesi in uno scarso tentativo di sapere cosa stava combinando quel cretino.

-Nulla che ti possa interessare, Clarissa-. Affermò con quel suo tono scherzoso che mi faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi.

-Non mi chiamare Clarissa-. Incrociai le braccia al petto come fanno le bambine imbronciate. Ma in quel momento non mi interessava più di tanto. Era lui il bambino, non io.

-E se decidessi di non ascoltarti?-. Come se la cosa mi toccasse, davvero. Non mi ascoltava mai, e quando, anzi, se lo faceva, mi faceva svenire per la bassa pressione improvvisa.

-E se ti chiedessi perché avevi un coltello quella sera?-. Azzardai senza cambiare il mio tono, cercando di non far tremare la voce. Davvero volevo sapere se stavo a 75 centimetri da un assassino?

-Te l’ho detto, uccido demoni-. Certo, e il mio nome è Rapunzel. Decisi che ne avevo abbastanza di quelle cazzate ed era ora di andarsene da quel letto troppo comodo per i miei gusti. Già era troppo comodo che ci sprofondavi dentro e ti rilassavi e... era scomodo. Pff, ovvio che lo era.

Sbuffai, sbuffai e sbuffai. Mi alzai, misi le scarpe e indossai il giubbotto sotto il suo sguardo stupito.

Volevo andare a casa. Ed era quello che avrei fatto.

Cademon's fell.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora