//Il sogno//

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Riaprii gli occhi lentamente. Il dolore delle mie ferite sembrava essersi temporaneamente assopito e un inaspettato senso di benessere mi percorse le membra. Mi sentivo improvvisamente in piena forma, in preda a un’irresistibile voglia di muovermi. Mi tirai su a sedere. Eravamo in una radura verdeggiante e illuminata dalla debole luce del mattino, i raggi del sole che filtravano leggeri dalle chiome degli altissimi alberi che ci sovrastavano. Gli altri giacevano addormentati attorno a me, abbandonati in un cerchio scomposto attorno a ciò che restava di un focolare.

Mi guardai attorno, assaporando il fresco della foresta. Un senso di calma pervadeva ogni cosa, conferendo alla foresta un aspetto ben lontano dalla selva intricata e ostile che avevo attraversato solo poche ore prima. Passai distrattamente le dita sull’erba cosparsa di rugiada e restai in ascolto dei rumori che attraversavano il sottobosco. In lontananza, un uccello lanciò il suo richiamo fra gli alberi. Improvvisamente, ebbi voglia di esplorare il luogo in cui mi trovavo, così diverso da quando vi ero giunta per la prima volta.

Mi levai in piedi e mi incamminai verso il primo macchione di alberi, come chiamata da una voce invisibile che proveniva dritta dal cuore della foresta. Avanzai per diversi minuti, guardandomi intorno rapita dalla bellezza della natura che mi circondava. Dai teneri fiori appena sbocciati e dal colore delicato delle foglie, sembrava essere all’inizio della primavera, quando il cielo non si è ancora spogliato delle ultime nubi e tutto inizia a risvegliarsi dopo il lungo sonno invernale. L’umidità della notte aveva fatto esplodere i profumi del sottobosco, inondandomi le narici del fresco della terra bagnata e del muschio che si arrampicava sui massi scuri.

Camminai ancora per un po’, fino a quando le mie orecchie non captarono il rumore di un corso d’acqua. Ancora pochi passi e lo trovai, un piccolo ruscello che scorreva dolcemente fra l’erba, disegnando una curva delicata fra i tronchi degli alberi. Senza pensarci, lo seguii. I miei passi si persero fra gli alberi, fino a quando al canto degli uccelli e allo scrosciare dell’acqua si aggiunse anche la dolce musica di un flauto.

Un giovane uomo dai lunghi capelli scuri stava seduto su un masso, suonando il suo strumento assorto nei suoi pensieri. Neanche si accorse del mio sopraggiungere, tanto era preso dalla sua melodia. Dal mio canto, io non volli disturbarlo e mi limitai a sedermi a gambe incrociate sull’erba, prendendomi il mento fra le mani e restando lì ad ascoltarlo incantata.

Quando finalmente la musica cessò, l’uomo abbassò lo sguardo e mi vide. Sul suo viso abbronzato si dipinse il sorriso più bello che avessi mai visto, candido e rassicurante.
«Ciao,» mi salutò gentilmente.

«Ciao. Scusami, non volevo essere inopportuna, ma la tua musica mi piaceva tantissimo» risposi tutto d’un fiato.

«Ti ringrazio» disse lui alzando appena le spalle. «Tu dovresti essere Penny.»

Sobbalzai. Ormai sapevo fin troppo bene che cosa significava se qualcuno a Narnia diceva di conoscere il tuo nome.

«Chi sei?» chiesi senza fiato.

«Oh, perdonami!» esclamò l’uomo. «Il mio nome è Caspian. Credo che tu abbia già sentito parlare di me…»

«Certo che ho sentito parlare di te! Tu sei un re.»

A quel punto, le mie guance diventarono scarlatte per l’imbarazzo. Passi per i Pevensie, con i quali avevo già uno stretto rapporto di amicizia prima ancora che venissero incoronati, ma con lui? Con tutta sincerità, non avevo la minima idea di come comportarmi davanti a un re.

«Non essere timida» disse lui notando il mio evidente imbarazzo. «Essere re non significa che io sia diverso dagli altri. In qualche modo, anch’io faccio parte della tua famiglia.»

«Sì, sì, hai ragione» borbottai io. «Susan sarebbe molto felice di rivederti.»

“Potevo inventarmene una peggiore?”, pensai subito dopo, dandomi dell’idiota.

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