//Il Maestro//

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Nonostante fosse solo maggio, il caldo si era fatto a dir poco insopportabile. Per fortuna, nei vicoletti vicino al Lungotevere si poteva godere ancora di un certo refrigerio. Eravamo tutti lì, io in testa al gruppo e gli altri al mio seguito, avvertivo tutti i loro occhi puntati sulla mia schiena in attesa che dicessi qualunque cosa avrebbe potuto tranquillizzarli. Ma tutto ciò che sapevo in quel momento era quello che avevo sognato la notte precedente.

L’immagine era ancora vivida nella mia testa, come se l’avessi vissuta per davvero. Alis che camminava sui sampietrini di quell’angusta via avvolta nella semioscurità, della quale riuscivo a distinguere solamente le facciate cadenti di antiche dimore. L’istinto mi aveva improvvisamente ricordato che quella era la strada che percorrevo tutte le mattine per andare a scuola e che di lì a poco mi sarei ritrovata davanti al mio vecchio liceo. Sulle prime pensai che la strega volesse condurmi proprio lì, ma poi tutto era svanito e mi ero ritrovata a contemplare il soffitto del salotto di Massi. Non sapevo come, ma in qualche modo ero certa che quel sogno volesse dire qualcosa, una pista, un messaggio. Ero pronta a scommettere qualsiasi cosa che Alis fosse in grado di ricorrere alla mia immaginazione per inviarmi un messaggio. E che io l’avrei ascoltata. Non ci restava dunque che metterci in marcia, dal momento che era l’unica pista che potevamo seguire, per quanto incerta.

Di certo, la riunione della notte precedente non era servita a molto, anzi, a essere sincera, avremmo fatto meglio a risparmiarci tutta quella baraonda e andarcene dritti a letto invece di cospargere il pavimento della stanza di briciole per via dei tramezzini che continuavano inesorabilmente a uscire dalla dispensa e della fame nervosa di Edmund. Per non parlare di Peter, che non riusciva a stare zitto un attimo e continuava a ciarlare del più e del meno lanciando continue occhiate ammiccanti nella mia direzione, come se in quel momento la sua vita non fosse in pericolo come quella dei fratelli. Lucy si era addormentata sulla spalla di mio fratello dopo una decina di minuti, il quale aveva fatto un balzo talmente brusco per scrollarsela di dosso che le aveva fatto sbattere con violenza la testa sul bracciolo della poltrona. Solo Giulia, ignorando i continui brontolii di Massimo, sembrava disposta a darmi una mano, ma alla fine le nostre congetture risultavano sempre troppo assurde per essere messe in pratica.

Innanzitutto, ci serviva Lewis. Impossibile, dal momento che era morto qualche decennio prima. Giulia aveva proposto di tentare qualche strampalata seduta spiritica per riportarlo indietro, ma la proposta venne fortunatamente declinata all’unanimità. Non ci era restato che dormirci sopra, accampandoci alla meglio nel piccolo appartamento trasteverino. Io mi sistemai sul divano, dividendolo con Susan, mentre Edmund si accomodò sul tappeto sotto di me, accontentandosi di stringermi la mano. E poi era arrivato il sogno.

 E poi era arrivato il sogno

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Sbattei gli occhi con violenza, cercando disperatamente di concentrarmi nonostante avessi la voce di Giulia che ronzava a pochi passi da me. Edmund mi venne accanto, prendendomi delicatamente la mano. Quel piccolo gesto bastò a farmi forza.

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