Sole Seta Sale - II

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Scritto a quattro mani con giadaocchiverdi

......

Brando

Stamattina mi sono svegliato con l'obiettivo di ritrovarla. Non ci ho neppure pensato a dire il vero, quando ho aperto gli occhi sapevo benissimo cosa volevo. Una doccia veloce, ho tirato fuori dalla valigia un paio di pantaloni blu ed i mocassini, ed ho indossato una camicia bianca con il colletto button down, piegando accuratamente per tre volte ogni manica.

Ed adesso sono qui, con le mani posate sulle sue spalle e gli occhi persi nei suoi.

La testa vuota, abitata solo da una vocina molesta che mi ripete che sto facendo una cazzata.

Il suo "Sì, dove?" anche se appena sussurrato è un fulmine, un fulmine sperato ed inatteso.

"Si fidi di me" le rispondo, e la invito ad alzarsi. Lei lo fa e si ferma di fronte a me, senza che i suoi occhi mi mollino un istante.

La ammiro nel suo abbigliamento così inconsueto: ai piedi indossa degli infradito gioiello, clamorosamente senza tacchi, un paio di ampi pantaloni in lino bianchi, ed una semplicissima camicia in lino bianca, leggera, che le lascia scoperte le braccia e che lascia intravedere un reggiseno di pizzo. Il trucco leggerissimo, quasi assente. Anche lei mi osserva curiosa, forse si aspettava l'ennesima t-shirt eccentrica.

Provo a mettere assieme una spiegazione sensata per giustificare il mio abbigliamento. Ma non mi sembra il caso di dirle che volevo far colpo su di lei. Perciò taccio.

Le sorrido e, semplicemente le faccio strada verso la scalinata che porta al ponte inferiore ed alle scalette. La vedo colta da un insolito timore, come se stesse varcando un limite invalicabile. Istintivamente la prendo per mano e scendiamo insieme, un gradino alla volta, lasciandoci alle spalle il possente scafo della Ocean Dream.

Ieri sera dopo averla vista allontanarsi dal salone in compagnia di un tipo evidentemente alticcio non ci ho pensato due volte.

Ho chiamato Aziz, un amico con cui ho condiviso lo studio della Filosofia, che adesso fa il consulente per varie aziende straniere in Tunisia, e gli ho chiesto di organizzare qualcosa per me e lei per stamattina.

"Ci penso io, vecchio amico mio!"

Ed ha riattaccato.

Faccio strada, lentamente, lungo la scaletta con la consapevolezza che questa sarà una figura di merda che entrerà di diritto in cima alla mia personale "Top 10".

Metto piede a terra e mi sento chiamare da una persona in piedi accanto ad una Land Rover.

Mi volto verso Lilith e le faccio cenno di seguirmi.

L'autista ci fa accomodare su una scomoda panca sul retro e parte lasciandosi dietro una nuvola di polvere ed il suono si quella che sembra essere una hit di cantautori locali.

Usciamo dalla città, su una strada in cui le buche contendono lo spazio alla polvere. Penso compiaciuto che ho fatto bene ad indossare i pantaloni. Con gli slip di ieri adesso sentirei i suoi sguardi piantati sul mio inguine che, fregandosene del viaggio misterioso, si è già fatto il suo bel programma.

"Dove stiamo andando Ildebrando?" Mi chiede incuriosita ma non timorosa.

Le dico che è una sorpresa. Tralascio di raccontarle che non ne ho la più pallida idea neppure io.

L'ha bevuta. Forse.

Sto come un imbecille con le mani posate sulle ginocchia, accanto a lei. Gustando il contatto della mia spalla con la sua, ad ogni buca. Mi chiedo perché non le metta il mio braccio sulle spalle. Mi chiedo perché sono così cretino. E mi rispondo che lo sono perché sono un cretino.

Lilith ha lo sguardo fisso fuori dal finestrino, incantata da ogni colore e ogni profumo provenga dalla terraferma, sembra quasi come se fosse la prima volta che esce fuori dalla nave da un sacco di tempo. Poi incrocia il mio sguardo e gli occhi le brillano, come un bimbo davanti alle luci di un gigantesco albero di Natale. Sento che mi sfiora la mano, e un attimo dopo la stringe con forza. Non la molla per tutto il resto del viaggio, e io infilo le mie dita fra le sue, coprendola con l'altra mano, assaporando ogni sfumatura tattile di questo contatto.

Varchiamo un cancello. L'autista urla che siamo in una proprietà del signor Aziz. Passiamo davanti ad una imponente villa di un bianco abbagliante e continuiamo verso il mare.

Ci fermiamo accanto ad una tenda beduina, posta su una duna, in alto di fronte al mare. Salto giù dal mezzo e la aiuto a scendere. L'interno della tenda è coperto di tappeti e di ampi cuscini di raso multicolore. Al centro una ragazza dai lunghi capelli neri, a piedi nudi, con una lunga tunica turchese ci fa segno di avvicinarci e di accomodarci sui cuscini.

Da una caraffa di ottone versa del tè alla menta in piccoli bicchieri di cristallo e ce li porge.

Lilith è stupenda. Sorride divertita. Non si aspettava questa sorpresa. Neppure lei.

La ragazza mi passa un biglietto, saluta con un piccolo inchino e si dirige verso il fuoristrada.

"Vecchio amico mio. Spero di aver interpretato ed esaudito il tuo desiderio. Questo è il numero dell'autista, chiamalo quando vorrete rientrare. Siete soli. Nel mobile c'è un frigo con borghol alle verdure, frutta e acqua. Niente alcool mi spiace. E sul tavolo c'è un flacone con olio di mandorle purissimo. Un tempo eri un maestro. Se lo hai dimenticato, è un tuo problema."

Il fuoristrada, con a bordo l'autista e la ragazza dai capelli corvini, scompare in una nuvola di musica polverosa.

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