Capitolo 2 - L'inizio

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L'inizio

Passarono i giorni e le vacanze di Natale iniziarono; finalmente potevo fare quello che volevo. L'ultimo giorno di scuola tornammo subito a casa; tolsi di spalle lo zaino pesante e la giacca, mi cambiai e lavai le mani prima di sedermi a tavola. La mamma aveva già preparato il pranzo. Pasta alla carbonara. Cosa voler di meglio? Mangiai con tutta la calma di questo mondo dato che non avevo tanti compiti, mentre James in due minuti aveva già finito. Dopo aver terminato di gustare quella splendida pietanza, sciacquai il piatto e lo misi nella lavastoviglie. La mamma era seduta al tavolo che ascoltava il telegiornale attentamente, mentre io, come mia abitudine, sparecchiavo.

Spense la tv e si alzò, dandomi una mano a sistemare.
"Ti va di andare al nuovo centro commerciale, uno di questi giorni?" mi chiese. "Dici quello appena aperto in città?" domandai per conferma.
"Sì, esatto. Ho sentito che è molto ben fornito, magari trovi qualcosa che ti piace." Continuò mentre posava le varie cose negli appositi sportelli della cucina.
"Sì, certo! Perché no?" risposi subito. Avevo qualche soldo da parte da poter spendere, perciò ero disponibilissima a nuovi acquisti.
"Domani?"
"Approvo!" affermai felice, iniziando a pensare a cosa avrei potuto comprare.
Mi diressi poi verso la mia camera e cominciai a svolgere i compiti assegnatimi, anche se come al solito avrei preferito fare altro. Man mano che passavo da una materia all'altra, i miei occhi iniziarono a chiudersi per il sonno, mi riproverai da sola di essere andata a dormire tardi la sera prima e mi ripromisi di non farlo più, anche se sapevo che il giorno stesso avrei infranto quella promessa.
Giunsi all'ultima materia, Tedesco. La mia voglia di studiare quella lingua era completamente assente, non era colpa dell'insegnante però: lei era davvero capace nel suo lavoro. Si vedeva il suo amore nei confronti della materia, ed era anche molto brava a spiegare, ma non mi è mai piaciuto molto il tedesco, preferisco l'inglese come lingua straniera. Dovetti comunque obbligarmi a fare il mio dovere perché al termine delle vacanze avrei avuto un test, un test abbastanza importante.

Una volta finito, chiusi di fretta il libro lanciandolo sulla scrivania, sapendo che non lo avrei più toccato, almeno per quel pomeriggio. Il sole era alto nel cielo, quindi decisi di andare a sedermi in giardino a godermi un po' quel calore che nel giro di poche ore sarebbe scomparso. Presi gli occhiali da sole, il mio libro, la felpa e la cioccolata calda che desideravo da tempo, insieme a una copertina.

Una rimanenza di rugiada brillava sotto al sole creando un'atmosfera primaverile che tanto mi mancava. Appoggiai una sedia sul prato, la asciugai dalle gocce d'acqua rimaste dalla pioggia della sera prima e mi sedetti comodamente. Pensai non ci fosse niente di meglio di un bel libro con la cioccolata calda in una giornata come questa e, lo ammetto, invidiai me stessa. Tra una pagina e l'altra, alzavo lo sguardo pensierosa e curiosa, guardando verso quella casetta che qualche settimana prima sembrava tanto cupa, ma che in quel momento alla luce del giorno sembrava una semplice baracca di montagna. Misi il segnalibro alla pagina in cui ero arrivata e chiusi il libro, mi alzai insicura e andai verso quell'ammasso di legna e chiodi. La porta era rimasta aperta da quella sera; notai che la serratura era stata forzata e che non c'era il lucchetto. All'interno non c' erano di certo cose di valore, ma mio padre comunque ogni volta che chiudeva la porticina in legno, incastrava una catena nella serratura che poi bloccava con un lucchetto. Controllai attorno alla casa e vidi qualcosa che scintillava, mi avvicinai e notai che era il lucchetto: ecco dov'era finito! Doveva essere caduto dopo che qualcuno o qualcosa lo aveva rotto. Anche se con un po' di paura che non capivo, entrai nella casetta, rimasta intatta, infatti a prima vista sembrava non mancare niente, anche se mi accorsi che non c'era una chiave inglese di papà, la più importante di un set completo, perciò notai la sua assenza. Non ne ero sicura, quindi pensai che glie ne avrei parlato appena possibile, chiedendogli se l'avesse usata in quei giorni senza riporla nell'apposito posto. Intanto richiusi la porticina con il lucchetto ormai inutile e ripresi a sorseggiare la mia bevanda 'cioccolatosa' leggendo, stavolta con attenzione, da dov'ero arrivata.

Prima di cena ne parlai con mio fratello, così che fosse sempre aggiornato su tutto e poi andammo entrambi in cucina. Mio padre si sedette a tavola sospirando per la stanchezza e per la lunga giornata impegnativa a lavoro.
Mangiammo entrambi in silenzio mentre i miei parlavano del più e del meno. Appena terminato cercai di parlare con mio padre. Stava per andare nel suo studio quando gli andai in contro e gli chiesi della chiave inglese.

"La chiave inglese dici? Non l'ho usata in questo periodo, non so dove possa essere. Sei sicura che non è caduta magari?"
"No, non c'era, papà; ho controllato. Era per caso una chiave inglese 'speciale'?" "Speciale? Per me sì, ma non aveva un costo così elevato! Me la regalò tuo nonno quando avevo la tua età." Disse soddisfatto.

Tra me e me pensai in modo sarcastico: "Che gran bel regalo", ma non lo dissi ad alta voce perché sapevo avrebbe ferito i suoi sentimenti. Il nonno era morto un anno fa a causa di una malattia incurabile e papà era molto legato a lui.
Comunque, non ottenni nessuna informazione da lui e presto decisi che era il momento di mettermi in pigiama per continuare a leggere il mio bellissimo libro che stava diventando sempre più interessante.

La luce soffusa della lampadina già da subito mi portò sonnolenza, e poco a poco iniziai a vedere il libro sempre più sfocato fino a che chiusi gli occhi del tutto, dimenticandomi di averlo tra le mani e di aver lasciato la luce accesa.
All'una e mezza di notte fu un rumore proveniente dalla cucina a svegliarmi e fu solo allora che mi accorsi di essermi addormentata nel pieno della lettura. Chiusi il libro con gli occhi ancora addormentati e accesi la luce della stanza per darmi una svegliata spegnendo così quella del comodino ormai diventata inutile. In quel momento mi accorsi che il rumore era sempre più forte e costante. Mi tolsi le coperte di dosso e mi spostai verso la porta per riuscire a origliare meglio. Dalla mia camera la cucina non si riesce a vedere, perché si trova al piano superiore, mentre la stanza in questione è al piano di sotto. Aprii la porta della mia stanza molto silenziosamente per non farmi sentire da chiunque stesse facendo quel rumore, che non riuscivo a comprendere. Sembrava un suono metallico, ma con un pizzico di plastica, indecifrabile, strano e aggiungerei inquietante. Andai verso la cucina senza fare rumore, con il fiato sospeso e con un tremolio alle gambe indescrivibile, causato sia dalla paura ma anche dal freddo che provavo. Passai davanti alla camera dei miei, ma dormivano entrambi. Nell'oscurità di quella casa che mi sembrò per la prima volta sconosciuta, il battito del mio cuore accelerò tutto d'un colpo, iniziai a sudare e sentii che stavo per svenire quando il rumore terminò. Con l'ultima briciola di coraggio, raggiunsi la stanza, accesi la luce e spalancai gli occhi in attesa dell'ignoto; era deserta, non c'era nessuno. Cos'era stato quel rumore? La lavastoviglie era spenta e anche tutti gli altri elettrodomestici lo erano. Notai subito che la finestra era aperta: mia madre non lasciava mai la finestra aperta in cucina, soprattutto d'inverno. La chiusi senza indugiare troppo e mi chiesi il perché avessi sentito solo io quel rumore: perché i miei genitori non si erano svegliati? E James? Tornai nella camera dei miei e accesi la luce. Mio padre è sensibilissimo alla luce di solito: quando dorme apre sempre gli occhi alla minima esposizione a una lampadina accesa. Ma stavolta non fu così: mi avvicinai per svegliarli, li chiamai, ma non si svegliarono. Li spinsi, gli urlai contro ma continuavano a essere impassibili. Il panico mi raggiunse tutto d'un colpo mentre la paura ebbe la meglio su di me e mi fece svenire lentamente sul pavimento di quella camera, in cui forse l'unica persona ancora in vita ero io.

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