Capitolo 4 - Risposte

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Risposte

Ero ancora bloccata quando accese la luce della casetta. Lo vidi; era un ragazzo, che tra l'altro pensai di aver già visto, alto ma non troppo, con occhi blu notte e dei capelli castani corti abbastanza spettinati, si vedeva fosse passato tra i cespugli: aveva ancora qualche foglia intrappolata sulla testa. Era il ragazzo scappato di casa qualche giorno prima, quello del telegiornale. Lo scrutai con occhi addormentati.

"Se mi prometti di non urlare, ti libero." Mi disse. Annuii rassegnata e così mi lasciò andare.
"Ma che caspita ci fai qui? Tu non sei quel ragazzo scappato di casa?" sussurrai con un tono di rimprovero.

"Si vede così tanto?" disse con aria seria ed infastidita.
"No, guarda." Dissi in modo sarcastico: "Sei solo su tutti i telegiornali della città. I tuoi genitori ti cercano da giorni e tu gironzoli nei giardini delle case degli altri". Stavo per scoppiare, avevo una paura indescrivibile, ma contemporaneamente ero arrabbiata con quel ragazzo per quello che aveva fatto. I suoi genitori erano preoccupati per lui, mentre lui sembrava fregarsene altamente.
Vidi che il suo volto diventò ancora più cupo: avevo detto qualcosa di sbagliato? "Senti, non so cosa ti sia successo ma io devo chiamare i tuoi genitori." Dissi con tono più calmo. Presi in mano il telefono per comporre il numero anche se non me lo ricordavo a memoria, ma sapevo che da qualche parte in Internet lo avrei trovato, quindi iniziai a digitare sullo schermo.
"Se vuoi rovinarmi la vita fai pure." Sbottò.
Posai il telefono nella tasca del giubbotto e controllai che la porta fosse chiusa, così da non svegliare i miei genitori.
"Spiegati meglio." Affermai.
Si voltò verso di me, aveva gli occhi stanchi e un'espressione dura, sembrava non sorridesse da una vita. Mi fissò per qualche istante, ma non parve fosse molto disponibile al dialogo. Raccolse lo zaino che aveva portato con sé, se lo mise su una spalla e fece per andarsene.
"Eri tu in cucina quella sera?" gli chiesi prima che uscisse dalla casetta.
Si voltò lentamente. "Che intendi?"
"Qualche notte dopo che ti ho intravisto per la prima volta, eri tu nella cucina a fare quel rumore? E poi perché per due volte? Per svegliare sia me che mio fratello?" "Qualcuno è entrato in casa vostra? E poi che c'entra tuo fratello? Aspetta, hai un fratello?"
"Sì, cioè, più o meno qualcosa è successo. In breve, stavo per addormentarmi quando ho sentito un rumore assordante provenire dalla cucina, allora sono andata a controllare e proprio quando stavo per entrare, il rumore è sparito. Ho acceso la luce e ho notato che tutte le fonti di rumore possibili erano spente o inattive, ma che c'era una finestra aperta."
"È successo qualcos'altro dopo?"
"Sì, ma non ne sono sicura. Sono andata nella camera dei miei genitori per svegliarli e capire il perché non si fossero accorti del rumore, ma quando ho tentato di svegliarli non è successo niente. Sembravano tipo svenuti, non mi sentivano. Presa dalla paura sono caduta a terra perdendo i sensi. L'indomani però mi sono svegliata sul mio letto con una specie di amnesia. Non mi ricordavo niente di quello che era accaduto la sera prima. Poi nel corso della giornata i ricordi mi sono tornati in mente."
"È successa la stessa cosa a tuo fratello?" si avvicinò.

"Sì, perché?"
"Quindi hanno preso di mira anche voi." Disse spostando lo sguardo.
Non capivo di cosa stesse parlando quindi chiesi: "Ma cosa stai dicendo? A chi ti riferisci?"
"Ascoltami, c'è un motivo per cui sono scappato di casa."
"E cioè?" chiesi spaventata.
"C'è questa specie di organizzazione che rapisce dei ragazzi per fare degli esperimenti su di loro. Probabilmente scelgono solo alcune tipologie di giovani fatte apposta per generi diversi di esperimenti. Tu e tuo fratello siete due di quelli, come me. Testano il nostro modo di agire e di pensare quando siamo sotto pressione o in pericolo." "Quindi mettono a repentaglio la vita di alcuni ragazzi per fare cosa?"
"Per poter sviluppare dei sieri che possano aumentare le capacità psicologiche e fisiche di persone ricercate dalle autorità, sono alcuni tra i più importanti criminali della zona."
Iniziai a dubitare di quello che mi diceva...non so, magari aveva sbattuto la testa. "Ascoltami, ti senti bene? Sei proprio sicuro che le cose che mi stai dicendo siano vere? Faccio molta fatica a crederti. Cioè tu piombi qui, nel mio giardino, e mi dici questa cosa. Ma poi scusami: che ci facevi nel mio giardino?"
"Cosa pensi che sia successo nella tua cucina? Perché i tuoi genitori non si svegliavano? Perché è successa la stessa cosa a tuo fratello? Era tutto già programmato. È stato il vostro primo test. Era tutto un sogno, hanno fatto entrare nelle vostre camere un gas che potesse farvi vivere alcune delle vostre più grandi paure." Fece una pausa. Forse non stava mentendo. Non so perché ma i suoi occhi mi sembrarono spaventati. "Senti, lo hanno fatto anche con me. Dovete andare via di qui subito, sennò vi prenderanno come hanno già fatto con molti altri ragazzi come noi. Venite con me. Ci sono altri che stanno scappando, siamo un gruppo ormai, non sarete soli". Io lo guardai spaventata e scioccata allo stesso tempo.
"Mettiamo il caso che sia tutto vero, come faccio con la mia famiglia? Non posso fare come hai fatto tu, è diverso, non..." Si avvicinò, mi guardò negli occhi e mi disse: "Se vuoi che i tuoi genitori non siano in pericolo, dovete farlo."
Ma io non potevo andarmene. I miei genitori si sarebbero preoccupati e io sarei andata via con questo ragazzo di cui non sapevo neanche il nome. La mia faccia deve aver rappresentato la mia angoscia, dato che dopo pochi secondi mi disse: "Io devo andare, se dovessi cambiare idea mi trovi al mulino vecchio...ma mi raccomando: fa' attenzione che nessuno ti segua o ti veda. Ah, e comunque grazie per la chiave inglese, l'ho rimessa al suo posto." Nascose un sorriso e così si voltò e se ne andò.

Sentii la voce di mia mamma che parlava al telefono con qualcuno, credo la nonna, e così mi svegliai. Erano le 10:45 e mi pentii di non essere rimasta a letto dato che dopo qualche giorno la scuola sarebbe ricominciata e la sveglia avrebbe suonato ogni mattina alle 6:30. Ripensai a quel ragazzo, a cosa mi aveva detto e al come me lo aveva detto, sembrava veramente spaventato e il mio cuore iniziò a credergli, in qualche modo. Aggiornai il mio diario 'segreto' degli ultimi avvenimenti, non tralasciando alcun dettaglio. Inoltre, avevo bisogno di parlarne con Sofia, ma nei giorni che seguirono non riuscimmo a vederci per i mille impegni, ma soprattutto dovevo dirlo a James. Mi alzai dal letto e senza neanche fare colazione andai nella sua camera: ero troppo confusa per poter fare altro. Con i capelli scompigliati, gli occhi ancora addormentati e l'enorme pigiamone invernale, mi trascinai fuori dalla mia camera. Aprii la porta della sua stanza e mi accorsi di non aver neanche bussato.

"Oh, scusami. Mi sono dimenticata di bussare." Mi voltai e tornai sui miei passi.

"No, tranquilla. Buongiorno." Era ancora a letto, ma era sveglio che chattava con qualcuno, perciò appoggiò le spalle al muro e mi fece spazio, così io chiusi la porta e mi infilai sotto le coperte accanto a lui in cerca di protezione.
"Va tutto bene?" mi chiese vedendomi turbata.

"Ieri notte è successo di nuovo...ma stavolta ho voluto controllare da vicino." Feci una pausa. "Allora sono andata in giardino e sono entrata nella casetta e mi sono trovata un ragazzo davanti." Continuai tutto d'un fiato. Si girò di scatto.
"Megan, ti ha fatto del male?" mi disse con tono premuroso, non mi chiamava mai con tutto il nome completo, si vedeva che era preoccupato.

"No, tranquillo. Ma lui sa cosa ci è successo l'altra notte." Gli spiegai cosa mi aveva detto quel ragazzo e anche i dubbi che avevo. Ma la conversazione finì come tutte le altre, senza una risposta che potesse 'tranquillizzarci', perciò semplicemente mi accucciai ancora di più sotto le coperte calde, appoggiandomi a lui.

Passò anche l'ultima settimana di riposo, senza più nessuna comparsa di quel ragazzo, e soprattutto senza risposte, nonostante ne fossi alla ricerca. Così il giorno del rientro a scuola arrivò; la fermata dell'autobus era piena di ragazzi e ragazze, ma non vidi Sofia da nessuna parte, il che non era normale dato che era sempre la prima ad arrivare a scuola. Provai a chiamarla ma il telefono squillò a vuoto, le mandai un SMS ma non mi rispose. La aspettai fuori dalla classe ma non arrivò. La prof d'Inglese fece l'appello e quando arrivò il turno di Sofia, mi chiese se sapessi il perché di quella assenza, ma capì che non ne avevo la più pallida idea. Decisi che dopo scuola sarei andata a casa sua per vedere se stesse bene, magari aveva preso l'influenza e non era riuscita ad avvisarmi. A ricreazione provai di nuovo a chiamarla e le inviai l'ennesimo messaggio, ma niente. Mi preoccupai: di solito quando faceva un'assenza a scuola me lo diceva il giorno prima, o comunque mi rispondeva al primo squillo. Cominciò a venirmi l'ansia come mio solito, ma provai a tranquillizzarmi pensando che sarei andata a trovarla a casa sua e che sicuramente lei sarebbe stata lì, e se ne sarebbe uscita dicendo che si era dimenticata di scrivermi. Per certo era andata così, non era successo niente, solo si era scordata. Continuai ad accampare scuse, ma sapevo di star mentendo a me stessa.

Il pullman arrivò puntuale quella volta; l'autista che lo guidava sembrava davvero un tipo strano, ma non mi soffermai troppo su di lui, presi posto tra i primi e aspettai la fermata che mi avrebbe portato dalla mia amica, intanto avvisai mia madre dell'inconveniente e dissi a James di andare a casa senza di me. Dal finestrino vedevo abitazioni di ogni tipo diventare grandi per poi ritornare a essere minuscole, di tutti i colori, forme e grandezze. L'autobus si fermò proprio davanti a quella di Sofia, scesi salutando il conducente mostrandomi senza pregiudizi e provai a suonare il campanello del cancelletto esterno. La casa di Sofia era stupenda, non so se lei ne fosse cosciente, ma sembrava davvero una villa. Le mura esterne bianche davano un senso di pulito alla casa a due piani. Il giardino di un verde acceso sempre ben curato, con qualche fiore qua e là che dava un tocco di colore in tutta quella distesa d'erba. Una magnolia profumata faceva ombra a un'amaca color celeste su cui Sofia si stendeva quando facevamo le nostre videochiamate su FaceTime. Camminai sul vialetto che attraversava il giardino e raggiunsi la porta d'ingresso bianca anch'essa. Suonai al campanello con scritto il cognome della famiglia di Sofia, Mason, e ad aprirmi fu sua madre. Prima ancora che potessi dire qualcosa, la donna mi abbracciò. All'inizio non capii, poi però percepii che qualcosa non andava. Mi strinse forte mentre il suo viso era rigato da delle lacrime che sembravano non essere mai terminate. Mi fece entrare e mi disse delle cose che non avrei mai voluto sentire.

La mia amica era stata rapita.

Rose RosseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora