80. Senso di colpa

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"Tu, per tutti questi anni... Non l'hai mai dimenticato, dunque. Mi avevi assicurato che non ci pensavi più ed io sono stata così ingenua da crederti, da non comprendere che mentivi. Io... Mi dispiace, Lucy, non ho saputo darti il sostegno che meritavi. Avrei dovuto insistere, capire, parlarti di più, ma per me era più facile credere alle tue parole che... Sono... Io sono un fallimento come sorella."

In seguito alla rivelazione della gemella, Priscilla aveva avvertito una cupa nube di tristezza piombare su di lei, avvolgerla e lasciarla frastornata. Dopo aver espresso il suo rammarico in un lungo bisbiglio udito appena da Merlino e dalla stessa Lucynda, cominciò a meditare tra sé su ciò che quella scoperta comportava per lei, poiché provava un profondo rimorso e si sentiva in colpa. Fino ad allora, non aveva compreso il dramma che la sorella aveva vissuto nel separarsi da Daven, non aveva capito quanto avesse sofferto, da sola, in silenzio, di nascosto. Ora sapeva quanto il suo tenero cuore avesse patito, ora sapeva quanto fosse stato difficile, per lei, ritornare a Bre Bile e fingere davanti ai suoi familiari, per non farli preoccupare; Lucynda si era confidata in privato con la loro madre, che, senz'altro, aveva trovato le parole giuste per confortarla un poco, ma, in seguito, aveva sempre minimizzato la cosa ed era stata così convincente da ingannare sia la mamma che la sorella. Priscilla, infatti, aveva creduto che lei se ne fosse fatta una ragione, che quel suo breve amore appartenesse al passato e che non avesse rimpianti. Ma si era sbagliata di grosso e il fatto che, alcuni anni dopo la visita a Fair Stone Bourgh, la sorella fosse stata eletta Vertelch, probabilmente non aveva fatto altro che peggiorare le cose: Lucynda aveva vissuto come se l'avessero intrappolata in una sfera di vetro, lontana dal resto del mondo, senza fare nuove esperienze a livello emotivo, senza conoscere persone nuove, senza diventare moglie e madre, ruoli che a lei, così dolce e amorevole, sarebbero calzati a pennello. Mentre Priscilla, tutta assorta nell'affinare le proprie abilità da veggente, invecchiava giorno dopo giorno, isolandosi spesso per scelta personale, Lucynda, costretta a rinchiudersi in quella fortezza solitaria, era rimasta fortemente aggrappata al passato e ai propri ricordi, senza riuscire a voltare pagina. Era rimasta ancorata a quell'esperienza dolorosa, forse fantasticando su ciò che la vita le avrebbe riservato se le cose fossero andate diversamente. Avrebbe di certo preferito costruire una famiglia con l'uomo da lei amato, piuttosto che possedere poteri inimmaginabili che, in fin dei conti, era stata obbligata ad accettare. Era sempre stata una fanciulla dall'animo candido e semplice; ritrovarsi dotata di capacità magiche così immense all'improvviso doveva averla terrorizzata all'inizio, sebbene avesse talvolta desiderato essere una strega. Eppure, era stata all'altezza, aveva svolto il proprio compito egregiamente, almeno fino al giorno della disgrazia che le aveva sconvolto la mente.
Quanto a lei stessa, invece? Lei era forse maturata in tutti quegli anni? Era così saggia e assennata come si era sempre reputata? No, affatto. Nemmeno lei era cresciuta davvero, di vecchia aveva soltanto l'aspetto, ma aveva ancora molto da imparare, soprattutto sui sentimenti, sulle persone e sul modo di relazionarsi con gli altri. Era veramente ironico e assurdo: poteva anche essere in grado di prevedere il futuro di gente che neppure conosceva e di cui non le importava un fico secco, ma non era stata capace di riconoscere verità che le stavano a un palmo dal naso e che riguardavano una delle poche persone importanti per lei. Era stata ottusa e cieca; non era mai stata brava a immedesimarsi negli altri, a capire cosa provassero, a interpretare il loro atteggiamento andando oltre le apparenze ed era sempre stata pronta ad ammetterlo senza farsene un grosso problema, dicendosi che tutto ciò nemmeno le interessava. Tuttavia, dopo aver udito il racconto della sorella, Priscilla comprese quanto questo suo limite potesse pesarle e farla sentire addirittura una nullità. Strinse le mani a pugno, arrabbiandosi con se stessa per non essere stata, da giovane, la confidente che Lucynda avrebbe meritato di avere. Provava quasi vergogna per aver davvero creduto che il suo amore potesse essere stato un sentimento superficiale e frivolo: aveva sempre saputo che la gemella era il genere di persona che metteva il cuore e l'anima in tutto ciò che faceva. Non era certo come lei, che era incapace di amare o, quantomeno, di dimostrare il suo amore, manifestandolo e dichiarandolo con spontanea naturalezza come facevano le persone più sincere e affettuose. Fu allora che il suo pensiero corse a Gilbert: egli aveva capito perfettamente come lei fosse fatta, ciononostante era rimasto al suo fianco per tanti anni, accettando i suoi pregi e i suoi ben più numerosi difetti con pazienza, senza mai costringerla a cambiare il loro rapporto. Ormai, era diventata una consuetudine per entrambi bisticciare come marito e moglie, ma neanche lui le aveva mai chiesto se volesse diventare ufficialmente la sua consorte. Per lei, era già come se egli fosse suo marito, eppure non era mai stata in grado di confidargli quanto considerasse importante la sua presenza, anzi, la dava per scontata. Gilbert era un tipo intellettuale e, spesso, terribilmente noioso e distratto, tutto preso dai suoi studi e dalle sue pozioni, ma il suo animo era sincero e onesto, pulito e terso come l'azzurro serafico dei suoi occhi; non gli piaceva mentire, pur essendo abile a farlo in caso di necessità, cosa che aveva dimostrato proprio in quei giorni. Priscilla sapeva che lui le voleva veramente bene; forse, la amava persino, anche se nemmeno lui le aveva mai detto una parola in proposito, probabilmente per paura di un suo rifiuto o di perdere la sua amicizia. Lei, infatti, si comportava apposta in modo insopportabile e irascibile per tenerlo a distanza. Sì, lo faceva di continuo, perché aveva sempre giudicato i sentimenti come qualcosa di imprevedibile e la terrorizzava il pensiero di quali pazzie si potessero compiere per amore e di come esso potesse cambiare la vita delle persone fino a stravolgerla. Amore: una forza in grado di farti superare montagne invalicabili e insormontabili ostacoli, ma anche una debolezza capace di stendere a terra uomini grandi e grossi, un'arma a doppio taglio che non aveva neppure provato a maneggiare durante la sua esistenza, perché era una codarda. Non si meritava l'affetto di un uomo come Gilbert, la sua presenza quotidiana, la confortevole consapevolezza che lui fosse sempre al suo fianco. No, non si meritava una tale fortuna, non aveva fatto nulla per meritarsela e, forse, stava pure tirando troppo la corda. Magari, ben presto egli si sarebbe stufato di tale situazione e avrebbe finalmente scelto una donna intelligente ed equilibrata con cui trascorrere serenamente il resto dei suoi anni. E, allora, di lei cosa sarebbe stato? Sarebbe impazzita pure lei? O, più semplicemente, sarebbe rimasta sola e immobile a guardare dal suo angolino buio, messa da parte come un vecchio calderone bucato? Beh, in tal caso, se lo sarebbe meritato, visto che non era capace di essere onesta con se stessa e con gli altri, ammettendo che ciò che provava per Gilbert fosse amore. Non meritava la fortuna di averlo al proprio fianco, godendo di qualcosa di immensamente prezioso, un tesoro inestimabile che la sorella, invece, aveva potuto solo sognare: qualcuno che ricambiava i suoi sentimenti e che aveva scelto di starle vicino, malgrado, con lei, non fosse per niente facile. Si rese conto di aver davvero sprecato un sacco di tempo e, per questo motivo, si sentiva angosciata, come se già fosse troppo tardi per rimediare. Era ancora possibile cambiare alla sua età? Era troppo vecchia per imparare ad amare ed essere amata? Forse no: Lucynda le aveva dato una prova inconfutabile di costanza e fedeltà, un esempio estremo di come l'amore potesse sopravvivere anche alla lontananza, nel tempo e nello spazio. Si chiese se Daven, certe volte, avesse pensato a lei, se si fosse pentito della propria decisione, se, da vecchio, nel suo cuore avesse ancora provato qualcosa per la ragazza alla quale aveva sottratto il primo bacio. Priscilla l'aveva quasi odiato per la sofferenza che aveva inflitto alla gemella e, fin dal primo incontro, egli non le era mai andato particolarmente a genio: l'aveva trovato troppo estroverso, vanitoso e chiassoso. Tuttavia, aveva in parte compreso la sua scelta, dopo che Lucynda, una volta tornate a casa, le aveva spiegato la storia della maledizione. L'intera vicenda era molto triste e, per giunta, tanti anni dopo, era finita nel peggiore dei modi; considerarsi, poi, responsabile della morte dell'uomo per cui si era provato un tale sentimento, doveva essere stato un dolore inesprimibile, una vera mazzata inferta dal fato crudele. Ed era stata solo colpa sua: era stata lei ad insistere che anche Lucynda l'accompagnasse a Fair Stone Bourgh, soltanto perché aveva paura di andare da sola con il padre in un posto a lei totalmente sconosciuto e in mezzo a persone estranee delle quali temeva il giudizio. Sì, se lei non avesse insistito tanto con i genitori, Lucynda e Daven non si sarebbero mai incontrati e sua sorella non avrebbe sofferto così tanto; si sarebbe senz'altro rammaricata di non essere riuscita a salvare un uomo, si sarebbe sentita in colpa, ma, per lei, sarebbe stato uno sconosciuto e, probabilmente, alla fine si sarebbe immersa nella fonte senza tante storie, senza provare desiderio di vendetta, senza perdere il nume della ragione a causa del dolore. Per tutti i centauri, che aveva fatto? Era lei l'unica colpevole di tutto quanto, lei e la propria testardaggine, la propria insicurezza e la propria incapacità. Con le sue abilità, avrebbe dovuto prevedere che era meglio lasciare Lucynda a casa con la madre, avrebbe dovuto capirlo in qualche modo.
A quel punto, le sembrò di udire la voce di Virna, la sua unica e indimenticata maestra, che le faceva la predica; se fosse stata lì, le avrebbe detto di non rimproverarsi troppo, perché forse anche lei era stata uno strumento del fato, contro il volere del quale nessuno può agire, nemmeno una veggente, neanche il più grande dei maghi: Merlino in persona ne era una prova.

 A quel punto, le sembrò di udire la voce di Virna, la sua unica e indimenticata maestra, che le faceva la predica; se fosse stata lì, le avrebbe detto di non rimproverarsi troppo, perché forse anche lei era stata uno strumento del fato, contro il...

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Ma, a Priscilla, non bastava incolpare le stelle o il destino per sentirsi meglio: avrebbe voluto tornare indietro per cambiare le cose e si sentiva impotente, perché sapeva che era impossibile.
Rimase a fissare la sorella con occhi velati di lacrime, lacrime di frustrazione e di rabbia verso se stessa. Non poteva più consolare Lucynda con parole futili e banali, semplicemente non poteva, non ne aveva il diritto. Sperava soltanto che, uscita da lì, potesse costruirsi la vita che desiderava; tra poco, Lucynda avrebbe dimenticato di essere stata la Vertelch, avrebbe persino scordato dove fosse Bre Bile e il fatto di aver avuto una gemella. Come voleva la tradizione, la custode della fonte, esaurito il proprio compito, doveva recidere i vecchi legami per crearne di nuovi; rinunciando al passato e al ricordo dell'enorme potere posseduto, sarebbe stata di nuovo libera di vivere la sua giovinezza con maggior spensieratezza e serenità. Priscilla doveva lasciarla andare, in fondo era venuta per questo e non poteva esitare proprio adesso. Doveva smettere di essere egoista e pensare sempre prima a se stessa, a quanto le sarebbe mancata, a quanto si sarebbe preoccupata per lei, giovane, sensibile, così buona e lontana: biologicamente, avevano la stessa età e, ora che si era ripresa dal momento di smarrimento che l'aveva afflitta, era abbastanza matura da riuscire a cavarsela. Dopo tutto, con la sua sfera, avrebbe sempre potuto darle un'occhiata, giusto una sbirciatina ogni tanto per sapere come se la cavasse; nessuno avrebbe potuto impedirle di fare almeno questo, per stare un po' più tranquilla. Se c'era qualcuno che si meritava di essere felice, era proprio sua sorella: era dunque giunto il momento di salutarla.

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