(Attenzione. Racconto fuori concorso)
Non c’è sincerità neanche in fondo al bicchiere
Personaggi Principali
ELISABETH COLLINS - operatrice radiofonica al quartier generale della forze armate inglesi War Office, fidanzata di Edward
EDWARD EVANS - capitano di corvetta della Royal Navy
EVELINE TAYLOR - cameriera del black Arrow
JACOB WILLIAM - agente MI6
ROBERT WILSON - ufficiale MI6
MICHAEL WALKER - generale della British Expeditionary Force (BEF) e ufficiale in comando del War Office
JOHN LINGDON - proprietario del Black Arrow
Ore 17:30 del 29 maggio del 1940, Londra
Al War Office delle forze armate inglesi arrivò la notizia che la Mary Flower è stata affondata a largo delle coste del Portogallo da un attacco dei temibili U-Boot tedeschi. Sul vascello della Royal Navy, navigava il capitano di corvetta Edward Evans, fidanzato dell’operatrice alle comunicazioni Elisabeth Collins, attendente del generale Walker. Gli agenti dell’MI6 Jacob William e Robert Wilson erano a rapporto con il comandante Walker e sostenevano che i nazisti erano riusciti a conoscere il tragitto della nave grazie a una spia… una talpa che lavorava proprio in quell’ufficio.
Elisabeth, aveva sempre dimostrato di saper mantenere la calma in ogni situazione, ma la notizia dell’attacco alla nave di Edward la rese vulnerabile. Si sentiva inerme sapendo che il suo uomo era in pericolo e lei non poteva fare assolutamente nulla per soccorrerlo. Rimase di sasso, gelata, senza parole. Sentiva un nodo alla gola. Gli occhi s’inumidirono. Il generale accorgendosi dello stato di Elisabeth la richiamo, con un tono secco. «Collins se non riesce a essere lucida si faccia sostituire! Tutti abbiamo cari al fronte, tutti siamo preoccupati. Ma qui bisogna rimanere operativi». Ely si sentì mortificata per essersi lasciata travolgere dal dolore di perdere il suo Edward, senza rendersi conto che il generale stesso aveva un figlio, un fante della BEF, intrappolato insieme a oltre un milione di soldati tra britannici, francesi e belgi nell’inferno di Dunkerque circondato dalle unità corazzate tedesche. Non voleva assolutamente essere allontanata dal comando, voleva essere presente e conoscere la situazione. Rispose decisa all’accusa del generale, cercando di nascondere l’abitazione che la notizia le aveva provocato: «No. Signore. Non c’è ne bisogno».
Quella sera non poteva rientrare a casa dopo il lavoro, doveva scaricare la tensione accumulata. Il dolore che sentiva dentro di se era troppo forte per riuscire a dormire; decise di rintanarsi al Black Arrow, un locale che frequentava con Edward. Il posto ideale per sfuggire dalle atrocità della guerra e non pensare… tra l’altro aveva una cantina ben fornita di vini scavata sotto la strada e collegata a dei tunnel di epoca romana, l’ideale per mettersi in salvo in caso di attacco aereo. John il proprietario aveva fatto scavare dei comodi stanzoni per accogliere i suoi avventori in caso di bombardamento.Appoggiò la mano sulla maniglia e abbassandola si ricordò di Eveline, la cameriera che lavorava di quel locale, una donna molto bella con lunghi capelli lisci, bionda e un fisico da schianto, era affascinante, spigliata e sapeva come comportarsi in ogni situazione. Una ragazza che le sarebbe stata simpatica, se non fosse stata l’ex di Edward. Elisabeth ne era intimorita perché sapeva bene quale potere aveva sugli uomini. Ma doveva parlare con qualcuno che, forse, avrebbe capito la sua disperazione, quell’impotenza che annientava l’anima e il cuore. Anche se dentro di lei una vocina continuava a ripeterle che non era la persona giusta con cui confidarsi si sentì in dovere di dirle dell’incidente alla Mary Flower.
Entrò nel locale superando la doppia porta e s‘immerse nella coltre generata dal fumo di sigaretta. Si fermò un momento appoggiando una spalla allo spigolo della porta, con la mano accarezzo il pesante vetro piombato di colore giallo mentre si guardava intorno.
La donna, rapida, fece correre lo sguardo sui volti degli avventori sperando di non incontrare nessuno di molesto. L’aria fredda che stava entrando attirò l’attenzione di John Lingdon, il proprietario del posto che le si avvicinò distraendola dai suoi pensieri.
«Salve Elisabeth, tutto bene?»
«Sì signor Lingdon». John la guardò dal basso all’alto mentre con la mano tormentava uno dei suoi mustacchi. «E allora perché non entri? c’è qualcosa che ti preoccupa?» Nulla, non c’era nulla che preoccupava Elisabeth o meglio, ancora non si era presentata la preoccupazione, era solo lì ferma a cercare di non pensare. La porta alle sue spalle si chiuse con un movimento lento pesante accompagnato dal cigolio dei cardini e infine un rumore sordo. Salutò Michael seduto a un tavolo con altri conoscenti. Elisabeth era ancora vestita con la divisa e sentiva su di sè gli sguardi degli uomini incollati al suo fondo schiena. Il problema di quel vestiario era che la gonna la fasciava mostrando le sue forme senza lasciare spazio all’immaginazione. Quella sensazione le fece ripensare nuovamente a Eveline: chissà come riusciva a lavorare in quel posto, come faceva a non sentirsi in soggezione. Lei che era veramente bella, oltre l’inimmaginabile. Se non fossero stati in guerra e avessero vissuto in un momento diverso sarebbe stata sicuramente una diva del cinema. La cosa più brutta che la faceva sentire in colpa era che lei si comportava come se fossero delle vere amiche, era così carina, così tenera nei suoi confronti e questo la faceva stare ancora più male. Come poteva competere con una donna perfetta? E soprattutto Edward come aveva potuto lasciarla e poi essersi innamorato di una persona ordinaria come lei?
La mente della donna era un turbinio di pensieri che si accavallavano uno dietro l’altro, uno contro l’altro, intrecciandosi, scomponendosi e ricomponendosi. Roba da mal di testa. E poi la puzza di quei sigari non aiutava affatto. Ely si sedette a un tavolino rotondo da quattro come se stesse aspettando qualcuno, posizionato all’angolo della sala dalla parte opposta del bancone. Una lampada a muro diffondeva una luce soffusa che non nascondeva la donna, ma allo stesso tempo non la metteva in evidenza. Sul tavolo di legno scuro c’erano già i sottobicchieri con lo stemma del Black Arrow, una freccia nera incoccata a un arco marrone, lo strumento ideale sul quale sfogare la frustrazione di quel momento così penoso. Nuovamente alzò lo sguardo e osservò le posizioni dei presenti, studiandone i volti e i movimenti. Notò che un uomo biondo, vestito in modo elegante in coincidenza con il suo ingresso si era spostato dal bancone a un tavolo piuttosto defilato.
«Eccola la mia bella amica». Esclamò Eveline apparsa improvvisamente con in mano un vassoio di birre. «Come mai sola? Stasera non c’è nessuna delle altre?»
«No. Sono sola».
Eveline la guardò e con un sorrisino complice le strizzò l’occhio, con l’indice della mano libera iniziò a indicare i vari bicchieri elencando il tipo di birra, la marca e lasciandosi andare con delle descrizioni su gusto e sapore, ma Elisabeth la interruppe: «Non voglio birra».
«E cosa ti posso portare?»
La donna seduta si sdraiò sul tavolino allungando le braccia in avanti fino a poggiare la fronte sul legno e con voce strozzata: «Vino. Avrei proprio bisogno di bere un bicchiere di vino».
Le due si guardarono per un momento e proprio quando Eveline stava per dire la sua, Elisabeth disse l’ultima parte del desiderio. «Rosso… francese».
«Ely, amore un vino rosso francese è un vino per un incontro d’amore. Fammi portare queste a quegli energumeni laggiù e vediamo cosa posso fare». Detto ciò la cameriera si allontanò e la ragazza si ricompose e riprese a osservare gli altri ospiti, con una certa attenzione per il biondo di prima che le sembrava la stesse guardando. Forse era solo un uomo in cerca di compagnia. Vide il signor Lingdon sparire nel retro bottega dopo aver parlato con Eveline. Una folata di aria fredda la prese alla sprovvista quando due uomini entrarono. Ely li conosceva, erano gli stessi agenti dell’MI6 con cui aveva parlato quella mattina, quando erano venuti a riferire della missione della nave di Edward, per un momento il respiro si fermò. Ebbe paura che la stessero controllando, forse pensavano che fosse lei la spia. Quel pensiero le gelò il sangue, sentì la schiena irrigidirsi. Finalmente arrivò Eveline con due bei bicchieri pieni di un rosso rubino. «Non è bordeaux, ma ti puoi accontentare».
Elisabeth poggiò una mano sul braccio della cameriera che intanto si era seduta al tavolo. «Il padrone mi ha dato una mezz’ora di libertà e se non ti do fastidio vorrei stare qui con te». Ely afferrò il bicchiere e lo portò alla bocca. «Ma questo è…» Una lacrima le attraverso il viso solcando le tenere guance, mentre guardava il vino rosso rubino intenso del vino. «È Porto».
«Si. In cantina abbiamo solo questo, delle casse di bianco, un Merlot e un Lanzarote, un vino spagnolo». Sventolò una mano come per scacciare una mosca e far capire che non ne valeva la pena. «Hai avuto notizie di Ed?» Elisabeth odiava quel nomignolo, sapeva che lo usavano quando stavano insieme e lei andava su tutte le furie ogni volta che lo sentiva. «Io non so come dirlo». Eveline guardò Ely con i suoi grandi occhi scuri, sembrava volesse ammaliarla. Bevve un sorso. «Cosa?»
Con voce sommessa. «Non riesco ancora a crederci».
«A cosa cara?»
«Edward è disperso». A quella frase Eveline rimase impassibile, non fece una smorfia non pronunciò una parola, nulla di nulla tranne alzarsi di scatto, afferrare i bicchieri e rimanendo sempre in silenzio sparì nel retrobottega per riemergere qualche istante dopo con una bottiglia di Merlot coltivato nel Cambridgeshire. Senza chiedere l’autorizzazione riempì due nuovi bicchieri fino all’orlo. «Com’è successo?»
«So solo che la nave è stata affondata da due sommergibili tedeschi. Due ti rendi conto». Prese una pausa e rimarcò. «Due… nessuno sapeva il percorso della nave e ciò che trasportava. Doveva essere una delle tante missioni che passano inosservate». Elisabeth scoppiò in un pianto silenzioso. «Su. Vedrai che riuscirà a cavarsela. Quelli come lui trovano sempre una via d’uscita».
«L’hanno affondato a tredici miglia dalla costa. Non ci sono navi nelle vicinanze le stanno facendo partire dalla base in Portogallo».
«Non ti disperare Ed ha la pelle dura».
Ely prese il bicchiere e cercò di mandarlo giù in un sorso solo, senza riuscirci. «Non credo che un bicchiere basti questa sera. Voglio dimenticare». Elisabeth voleva affogare in quel bicchiere, avrebbe tanto voluto non amare così tanto Edward. Si sentiva morire. Guardò i due agenti con la coda dell’occhio e sentì una fitta alla parte sinistra del petto. Aveva paura che potesse essere un infarto provocato dal dolore o dalla paura. “Perché innamorarsi era sempre così doloroso?” si domandò angosciata. Forse bevendo tutta la bottiglia quel dolore sarebbe piano piano scomparso avrebbe sentito meno dolore.
Lingdon stava servendo il tavolo vicino, quando sentì le parole della ragazza si voltò di scatto e cercò di sostenere Elisabeth. «Non preoccuparti il capitano Evans se la caverà!»Poi indicando il tavolo. «Stasera offre la casa. Edward era un amico di tutti qui». Prese un boccale di birra da un vassoio, salendo su una sedia e con un urlo pacato chiese e ottenne il silenzio dei suoi clienti. «Signori! Uno degli amici di questo pub… il capitano di corvetta Edward Evans e il suo equipaggio sono dispersi». Alzò il boccale in alto e con un dito verso il cielo, oltre l’orlo. «Che riescano a tornare fra noi». Tutti fecero eco alla preghiera del signor Lingdon e brindarono alla salute dei marinai. Eveline strinse le spalle della giovane e fu presa alla sprovvista dalla domanda di Ely. «Perché tu ed Edward vi siete lasciati?» Evy non era pronta a rispondere a quella domanda.
Evy avrebbe voluto raccontarle che fu lui a lasciare lei, che le aveva spezzato il cuore e l’anima, che da quel giorno cambiò tutto. Avrebbe voluto confessarle che il mondo intero era diventato diverso e fu allora che decise di vendicarsi facendo soffrire tutti gli uomini che poteva facendogli pagare per tutto il dolore patito a causa di Edward. Ma come poteva raccontare a quella donna distrutta dall’angoscia che odiava lei per avere l’uomo che ancora amava e disprezzava lui per essersene andato? No, non era il momento di raccontare la verità e decise di trattenere per sé quel segreto, che sarebbe stato solo una delle tante altre bugie che si nascondevano in quel locale. «Non era il momento giusto. Se magari ci fossimo incontrati senza una guerra in corso, forse sarebbe andata diversamente.»
Il borbottio del locale riprese mano mano il suo livello abituale e le due ragazze continuarono a scambiarsi ricordi e aneddoti su Edward, forse per scongiurare l’incubo della morte. Eveline approfittando dei bicchieri vuoti si allontanò e riapparì con un vassoio con sopra una bottiglia di cuvée e un boccale, passando vicino al tavolo dell’uomo biondo lasciò il vassoio con la birra. L’uomo sollevò il boccale che nascondeva un foglio ripiegato. Dopo averne letto il contenuto lo avvicinò ad un fiammifero e gli diede fuoco per distruggendolo completamente usandolo per accendere una sigaretta, estratta da un elegante astuccio in metallo. L’uomo afferrò il cappello a bande larghe che teneva su uno degli sgabelli al suo fianco e si diresse verso l’uscita, seguito dai due agenti dell’MI6 che per non dare nell’occhio si alzarono e uno alla volta uscirono da quel posto.
Eveline e Elisabeth continuarono la loro cerimonia privata, a base di vino e ricordi senza condividere esperienze personali. Ely parlava con lo sguardo perso nel bicchiere di vino che rifletteva i suoi occhi umidi, che seguivano le bollicine salire una a una. Non capiva perché non s’era ancora andata da quel locale e perché continuava a parlare con la donna: era Edward che insisteva sull’essere gentile con la sua ex. Anche se i racconti che coinvolgevano l’uomo che avevano in comune erano banali e non toccavano momenti intimi, per non provocare la suscettibilità dell’una o dell’altra, le facevano ribollire il sangue. La ragazza sperava che il vino si sbrigasse a stordirla; immaginare quella donna con il suo Edward era intollerabile. Ely aveva paura che un giorno il suo ragazzo potesse svegliarsi rendersi conto di quanto lei fosse ordinaria, con i suoi capelli corti castani e ritrovare il desiderio per quella donna. Vedeva come gli uomini la guardavano, come la bramavano. Non le interessavano le attenzioni di persone diverse dal suo fidanzato, ma vederla la faceva sentire brutta e poco attraente. Questo non riusciva a sopportarlo.
La serata stava scivolando tra un bicchiere e l’altro fino a che non fu interrotta dagli agenti dell’MI6 che fecero irruzione nel locale dalla polizia militare in divisa, con tanto di manganello alla vita. Jacob William attraversò la stanza per parlare privatamente con il sig. Lingdon. Il padrone indicò il retrobottega e uno dei militari si piantonò proprio di fronte la porta mentre gli altri iniziarono a controllare i documenti dei presenti. Anche Elisabeth fu controllata, Eveline si alzò per andare a prendere la borsetta nel retrobottega, ma venne bloccata da uno dei militari che la afferrò per un braccio. «Come pretendi che abbia con me i documenti, io qui ci lavoro non vedi come sono vestita?» Mentre la donna cercava di divincolarsi senza successo. «Lasciami. Mi fai male. LASCIAMI!»
Da dietro il bancone uscì l’ufficiale dell’MI6 Robert Wilson vide la scena e con un tono autoritario rimproverò i suoi uomini: «Possibile che non capiate mai l’ordine di non provocare le persone?» Il soldato allentò la presa ed Eveline strappo il braccio liberandosi. «Scimmione! Mi hai fatto male». Jacob comparve con il soprabito e la borsetta della cameriera. «Eveline Taylor? Venga con noi».
«Perché cosa succede?» La donna parlò con un filo di voce lasciando trapelare l’ansia che quell’uomo le aveva trasmesso che in risposta offrì alla cameriera il paltò che teneva in mano porgendolo per le spalle, per permettere alla ragazza d’indossarlo. La testa bionda si abbassò facendo scivolare lo sguardo sul pavimento, infilò prima un braccio e poi l’altro prima di afferrare la borsetta e stringerla forte al petto. Gli uomini della MP arrestarono anche altre tre persone dei presenti nel locale. Robert Wilson era in piedi vicino a Elisabeth, che attonita guardava la scena in un silenzio religioso. Sentiva il suo corpo diventare sempre più piccolo, con la speranza di sparire. Ora sarebbe stato il suo turno. «Perché non è al War Office per seguire le operazioni di recupero?» Fissandola dritta negli occhi.
«Ma cosa? Cosa è successo? Perché avete arrestato Eveline?»
L’ufficiale dell’MI6 le spiegò che la cameriera era una spia dei tedeschi e a causa sua il vascello del fidanzato aveva subito l’attacco. La donna sfruttava la grande avvenenza e gli effetti dell’alcol per riuscire a strappare informazioni a soldati ignari di essere raggirati da un’agente segreto nazista. La mano di Elisabeth partì del tutto incontrollata e si schiantò contro il viso di Eveline, un colpo dato di rovescio che s’infranse proprio contro lo zigomo dell’ex-cameriera. «Puttana! Perché? PERCHÉ?»
Eveline trattenuta per le braccia da Jacob non poté reagire, riuscì solo a portare una mano al viso sul punto dove era stata colpita. «Perché odio te. La tua semplicità che ha fatto innamorare quel bastardo di Ed. Mi ha spezzato il cuore! Mi ha abbandonata dopo che io da stupida ragazzina glielo avevo donato…» Elisabeth la interruppe. «Edward il suo nome è EDWARD!» Gli occhi di Elisabeth erano furenti.
Wilson fece un passo in avanti e afferrò Ely per la vita allontanandola da quella che sarebbe potuta trascendere in una rissa. «Ma cosa fa? Non perda tempo vada al comando a pregare per il suo capitano Evans». Elisabeth annuì e senza farselo ripetere due volte si lanciò, in strada, in una corsa senza fiato con il cuore che le batteva all’impazzata e un solo pensiero in testa. Il suo Edward Evans.