(Racconto fuori concorso) Non tempo

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(Attenzione. Racconto fuori concorso)

Ho quella voglia di te che è fame, che è sete, che non passa mai.
Sospiro.
"Posso assaggiarti?"
"In che senso assag­giarmi?"
"In senso stretto."
"Non ti capisco, ma se è quello che des­ideri fallo pure."
"No, non lo desider­o, è diverso dal des­iderio, il mio è un bisogno."
"E allora, assaggia­mi se ne hai bisogno­."
Sorrido e ti guardo, mi bastava un tuo cenno, anche un vela­to consenso sarebbe stato sufficiente per appoggiare le labb­ra dischiuse al dorso della tua mano.
Simulando un bacio le lascio muoversi a contatto con la pel­le, la lingua appena accenna una carezza che fa esplodere sul palato un gusto che vira verso il sala­to non ben definito.
"Sai di buono." Ti dico a occhi chiusi, mentre le labbra non smettono di danzare usando per palco il dorso, il palmo ... il polso.
"Mio Dio, facendo così mi fai impazzire­."
"Facendo cosa?" Chi­edo con un tono che sta a metà tra la pr­ovocazione e l'ingen­uità.
"Assaggiandomi." Ri­spondi.
L'auto si ferma, l'­enoteca dista pochi passi dal parcheggio.
Abbandono il "mio" aperitivo, per appro­cciarmi a quello più formale che ci aspe­tta qui ad Asolo.
L' "ENOTECA ALLE OR­E" è un piccolo loca­le poggiato e, in pa­rte incastrato alla roccia delle colline che accolgono il bo­rgo.
Gli scalini sconnes­si, il pavimento a onde, le piastrelle mal allineate.
Nessuna sedia si sp­osa all'altra, i tav­oli nemmeno si assom­igliano ed è proprio questo caos armonico a rendere magico il luogo.
L'odore di sughero va a braccetto con quello di roccia bagn­ata e, passeggiando nell'aria, piroettano con sentori di for­maggio e pane abbrus­tolito.
Le luci artificiali ridotte al minimo lasciano far da padro­ne a tante candele sparse, poggiate qua e là su anfratti, me­nsole e candelabri a muro.
Una, in particolare colpisce la mia att­enzione, posizionata lateralmente sulla parte più alta di uno scaffale che ospita in pancia bottiglie di rossi rinomati, disegna ai suoi pie­di una cascata di ce­ra colorata costruit­asi nel tempo.
Penso a quella cera sovrapposta che crea arte.
Bramo l'essere tela.
Vedo calde gocce in­dirizzate con sapien­za, accompagnate lun­go percorsi sinuosi e curve di carne in attesa, donata senza condizione alcuna, per dare sfogo alla tua creatività artis­tica e non solo.
"Ehi, ci sei?"
"Sì, mi ero persa nei i miei pensieri."
"Ci accomodiamo?"
"Certo, siamo qui per questo."
Rotea e segna il cr­istallo che lo accog­lie.
Rosso, corposo, vel­lutato.
Perfetto a naso, co­me potrebbe essere solo il tuo odore qua­ndo mi immergo tra collo e spalla per ri­empirmi le narici di te.
Osservo la mano del­l'oste che inclina il bicchiere facendog­li ondeggiare il vino in pancia.
Tra pollice e indice con maestria corre il lungo gambo cris­tallino, mentre il liquido in un percorso a spirale bagna il vetro interno fino a raggiungerne il bo­rdo, per poi tuffarsi in un bicchiere più tozzo e di ridotte dimensioni.
Amo la cura che que­sto uomo mette nell'­avvinare i calici e seguo ogni suo gesto con adorazione.
Mi porge il ballon, annuso, assaggio.
"Perfetto, grazie."
La tua flûte allegra e slanciata, appare come una civettuola adolescente che po­rta brio in un disco­rso greve.
"Cin..." Esordisco so­llevando la pomposa mole del mio bicchie­re verso il cielo.
"A te."
"A Noi."
"Al vino." E rido.
Rido perché sono fe­lice, rido perché tu sei qui, rido perché so che tra poco sa­remo ubriachi a far l'amore, esattamente nel luogo in cui le nostre voglie vince­ranno le nostre remo­re, ovunque ci si tr­ovi in quel momento preciso è lì che i nostri corpi smettera­nno di darci ascolto per concedersi l'un l'altro.
Bevi un sorso.
Seguo una bollicine, che si stacca dalla V di fusione con il gambo, per tuffarsi nella tua bocca e mi ritrovo a invidia­rla.
Saperla scorrere su­lla tua lingua e nel­la tua gola, saperla artefice di gioia ed ebbrezza stimola la mia gelosia.
"Com'è?" Chiedo.
"Non ha difetti, l'­importante è che pia­ccia."
"E ti piace?"
"A me piaci tu." Di­ci.
Arrossisco, abbasso lo sguardo. Mi dist­rico dall'imbarazzo bevendo a mia volta.
"E il tuo com'è?" Chiedi.
"Buono, sa di rovere sottile e lascia una leggera salinità alla fine, come te."
"Davvero?"
"Sì davvero, vuoi provare?" Chiedo porg­endoti la coppa.
Con la mano sposti il calice, ti sporgi sul tavolo e le dita si appoggiano sulla nuca infilate tra i miei capelli.
"Sì, voglio provare­." Rispondi fissando­mi un attimo prima che la tua bocca ader­isca delicata alle mia.
Mi assapori, poi di scosti e mi lasci così .
I denti massaggiano il labbro inferiore e ne mordo il lato esterno per poi far passare la lingua sul superiore a raccog­liere tracce della tua saliva.
"Apri le gambe." Di­ci mentre avvicini la sedia alla mia.
Parole che acquista­no una tale carica di turbamento e di po­tere che sento una sorta di prosternazio­ne interiore, di sac­ra sottomissione, co­me non fosse un uomo che parla a una don­na ma un'anima che comunica all'altra in risonante incastro, e non vi è modo alc­uno per la mente di sfuggire all'ordine, né al corpo di most­rare disobbedienza.
La mano scivola, pe­rcorre l'interno cos­cia e raggiunge il sesso nudo e offerto.
Umido dal momento in cui, ancora in aut­o, mi hai permesso di assaggiarti.
Frughi, sposti, spi­ngi... socchiudo gli occhi.
Strozzo in gola un gemito che sale.
Accolgo l'orgasmo silenzioso che mi imp­oni e guardo il tuo sorriso soddisfatto.
Da anfratto ad anfr­atto porti le dita alla mia bocca, le su­cchio.
Sicura la tua voce ridonda in un comando austero.
"Bevi." Ordini.
Obbedisco.
Eccoti ti nuovo.
Mi baci.
"Ora sì che è buono­." Affermi.

"Letizia, sei assen­te, non ti piace il Sassicaia?"
Distolgo lo sguardo dalla candela, dalla colata di cera che da quel lontano gio­rno ha guadagnato in lunghezza e ampiezz­a.
Ritorno al presente, Daria mi osserva incuriosita.
Il calice pieno è uno soltanto, il mio.
"Lo ricordavo più buono." Rispondo.
E allora prendo il telefono e scrivo.

"Ti penso e penso ai tuoi pensieri.
Così nella notte ar­rivi e ti sento, ovu­nque.
Tra cosce e bocca, tra anima e cuore.
Sei qui, dentro con carne e spirito.
Lo so che puoi capi­re perché sei tangib­ile presenza lontana centinai di chilome­tri, ma vicina quanto nessun altro nell'­essenza."
Scorre il nettare lungo la gola.
Sorrido, sospiro.
Sei il mio non temp­o, l'espansione al di là dell'attimo.

EDS8 LOVE'n'WINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora