Martedì 17 Dicembre

Tyler

L'appuntamento dal medico è la cosa che mi sta provocando più ansia.
Essere da solo non mi aiuta. Mio padre non sa nulla e non ho contattato Samir. Lui non si è minimamente degnato di mandarmi un messaggio e anch'io lo sto ignorando.

"Il caffè dell'ospedale fa sempre schifo" dice Jared, porgendomi un bicchiere preso dalla macchinetta.
Scuoto la testa, rifiutando.
Lui sospira e si siede accanto a me, sulla sedia in plastica e scomoda peggio della pietra.

Chiamarlo è stata una pazzia fatta durante una crisi di rabbia.
Per ripicca a Samir ho chiesto a Jared di accompagnarmi alla visita.
Preso com'è da me, non ha rifiutato, anzi, sembrava felice come una Pasqua.

Appoggio il bicchiere sulla sedia vuota. Non ho voglia di bere, ho lo stomaco chiuso e la gola serrata.
"Hai intenzione di parlarne a Samir?" Chiede Jared.
Ha intuito che tra noi due qualcosa non va, ne sembra leggermente entusiasta.
Gode nel vederci separati, perché solo così sa che potrebbe avere una possibilità.
Stronzo.

Prima che possa rispondere, la segretaria ci avvisa che il medico può riceverci.
Mi alzo con una tale velocità che vengo assalito dalle vertigini.
Barcollo, ma il corpo di Jared mi impedisce di cadere.
È così estraneo.
Non è quello a cui sono abituato.

"Forse è meglio se aspetti qui" dico.
All'improvviso non sono più sicuro che Jared sia una persona affidabile. Non voglio che sappia quale sia la mia malattia. Solo Samir può comprendermi pienamente.

"Si, certo" replica lui. Ha un'espressione leggermente infastidita, ma a parole si dimostra comprensivo.
Più passano i secondi e meno lo voglio al mio fianco.
Certe volte sono così impulsivo.

Lo abbandono nella sala d'attesa e seguo la segretaria, nell'ormai familiare studio del mio medico.
Non appena mi vede, fa una faccia buffa, un mix tra il rassegnato e il divertito.
Ormai per entrambi vederci è diventato frequente, quasi una barzelletta.

Veniamo lasciati soli nella stanza e io prendo posto su una delle sedie imbottite.
"Non credevo che ti avrei rivisto così presto" dice, mentre apre la mia cartella clinica.

Scrollo le spalle.
Fisso la sedia vuota accanto alla mia, quel posto che nelle precedenti visite era occupato da Samir.
Cazzo, quanto mi manca...

Rimango in silenzio mentre il Dottor Davis tira fuori l'ultima lastra della mia tac al cervello.
"Studiando e facendo varie ricerche, sono arrivato alla conclusione che il tuo è chiamato disturbo della rabbia intermittente, associato a una lieve schizofrenia, che ti porta le cosiddette allucinazioni".

Annuisco.
Sprofondo di più sulla sedia.
Per lo meno adesso la mia malattia ha un nome, non è più un mix di disturbi che si accozzano tra loro.
"Le pillole non fanno più effetto. Nei giorni scorsi ho avuto diverse crisi e le allucinazioni sono tornate" spiego.
Ricordo il momento in cui, dopo aver visto l'ombra nello specchio, l'ho spaccato in mille pezzi, la sera in cui Samir tardava ad arrivare.

"Quanto sono frequenti?" Domanda il dottore, congiungendo le mani sulla scrivania.
"Ne ho avuta una mentre ero in metro, l'altra il giorno dopo".
Lui annuisce.
Si porta una mano al mento, sembra stia riflettendo.
"Hai avuto una forte esplosione di rabbia in quei momenti, prima che accadesse?"

Ci penso su.
La sera che ero solo in casa sì, ero molto incazzato con Samir perché non arrivava.
Ma in metropolitana no, però ho provato disgusto per me stesso quando ho confessato che usavo Chris.

Unstable In My BodyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora