Venerdì sera 13 Dicembre

Tyler

Scendiamo alla fermata più vicina che chiaramente non è nel Queens.
Samir conosce New York meglio di me, quindi mi fido della sua guida.
Saliamo le scale della stazione.

La mia mano è in quella di Samir, ho ancora una voglia matta di toccarlo e non quello.
Nonostante non sia tanto tardi, la stazione è già vuota, eccezion fatta per i senzatetto.
Per questo non vengo mai qui da solo.
Smetto di guardarmi intorno, non vorrei rivedere qualcosa di spiacevole.

Infilo la mano libera nella tasca del giubotto.
Fa freddissimo, anche se il vento è assente, le temperature quasi vanno sotto lo zero. Un po' spero che quest'anno a Natale ci sia la neve, sono già due anni che non nevica.

Samir si accorge della mia ricerca di calore e mette le nostre mani nella sua tasca.
Sorrido, nascondendo il viso nel colletto della giacca. Nota ogni dettaglio. Sapevo già di questo, ma adesso lo vedo sotto un'altra luce.

In strada c'è già più gente. Ragazze vestite con abiti corti e tacchi altissimi. Mi chiedo come facciano a non avere freddo, io sto congelando e ho persino il doppio calzino.
Sono un tipo freddoloso.

"Mi dici dove mi stai portando?" Chiedo a Samir.
Scuote la testa.
"Un posto che conosco" ripete, come se non l'avesse già detto qualche minuto fa.
Sorride e io alzo gli occhi al cielo.
Quando ci si mette è davvero fastidioso.

Camminiamo in silenzio per quelli che sembrano dieci minuti, poi Samir si ferma su un marciapiede pieno di locali dall'aria poco raccomandabile.
"Siamo arrivati" dice.
Mi conduce verso l'entrata di quello che sembra un bar.
L'insegna piuttosto decadente è dipinta da un blu che un tempo doveva risultare brillante.

Sollevo il sopracciglio, scettico e guardo Samir.
Lui mi sorride, facendo un occhiolino.
Mi fido delle sue silenziose parole e lo seguo all'interno.

C'è un lungo corridoio, con una carta da parati color crema. Non c'è puzza di alcol o di altre robe schifose che di solito impregnano i posti scadenti.
Raggiungiamo un ampio portone che sembra essere appartenuto a un palazzo ottocentesco, con maniglie dorate e legno chiaro.

Samir spinge appena un'anta del portone e lo spazio che mi si presenta davanti mi stupisce oltre ogni misura.
Contrariamente a quanto mi aspettassi, l'ambiente sembra in tutto e per tutto un salotto da thè.
Poltrone imbottite, tavolini bassi in legno, tappeti quadrati e riccamente decorati.
Ci sono un paio di camini in marmo bianco, utili a riscaldare la sala e le postazioni.

La gente non è molta, ma tutti i presenti sembrano tranquilli, alcuni di loro che sono senza compagnia stanno leggendo un libro, oppure sfogliano riviste che non sembrano stampate di recente.

"Ti piace?" Domanda Samir con il tono già compiaciuto.
È consapevole di quanto adori tutto questo, il vecchio stile, i libri, il thè!

Lo guardo con un sorriso a trentadue denti.
"Ma come hai fatto a trovarlo? Lo amo" rispondo entusiasta.
Anche qui la carta da parati è color crema, ma differentemente da quella in corridoio, questa è abbellita da ghirigori color azzurro cielo.
È un abbinamento di colori che mi piace.

"Preferisci rimanere qui o usufruire di una delle loro camere?"
Guardo Samir.
Hanno anche le stanze?
E io che pensavo volesse scopare in un vicolo o in uno squallido bagno.
Mi sento in colpa per averlo sottovalutato.
Cazzo, la sua dolcezza e premura nei miei confronti mi fanno venire ancora più voglia.
Stringo maggiormente la sua mano.

Unstable In My BodyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora