Capitolo Tredici

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***

Esiste chi comanda, esiste chi esegue, e poi esiste Louis.

I suoi cugini non hanno mai voglia di andare in missione con lui e Rufus, perché nessuno ha voglia di vedere in atto il binomio perfetto e sentirsi automaticamente escluso o inferiore: Louis non è nemmeno un Tomlinson, di sangue, ma il titolo se l'è certamente meritato, dimostrando un talento naturale sorprendente, che l'ha reso il pupillo e l'erede del capo del loro ramo, Rufus Tomlinson. Rufus, che l'ha sempre portato su un piatto d'argento, su un cuscino, tutto un Louis di qua, Louis di là, Louis ha fatto questo, Louis ha ideato questo piano, Louis Louis Louis.

Quando si trattava di parlare di cose importanti, però, Louis non esisteva più. Se chiedeva a suo zio perché andavano in missione, rispondeva che erano 'ordini dall'alto'. Se doveva uccidere qualcuno a vista, chiedeva sempre prima se avesse manifestato comportamenti nocivi, e Rufus rispondeva sì, senza nemmeno guardarlo, e Louis puntava. Aveva una mira perfetta.

Se vedeva dei bambini nei villaggi, faceva finta di non avere occhi, per quanto, tra il simbolo dell'associazione sulla spalla e le armi addosso, i piccoli fossero terrorizzati da lui. E a Louis piacevano, i bambini, solo che, a quanto pare, ai bambini non piaceva lui. O forse quello che era.

Louis era uno silenzioso, che per farsi accettare come membro, nonostante la Cerimonia del Sangue a cinque anni, ha dovuto faticare e dimostrare che sì, poteva essere un Cacciatore e un Tomlinson quanto lo erano loro, poco importa se Mark lo aveva adottato a tre anni e l'aveva iniziato a quattro, piuttosto che portarlo in famiglia dalla nascita, come tutti gli altri.

Ma forse, ecco il punto, non voleva esserlo più. Perché nel suo silenzio, Louis sentiva. E tutti avevano da parlare di lui, del suo talento, della sua eredità, molti con cattiveria, parecchi con ammirazione. Insomma, si parla sempre di surclassare Rufus, e Louis non può stare con le mani in mano e guardare al vuoto. Per questo, ha iniziato ad ascoltare i discorsi di suo zio.

E non gli sono piaciuti.

Rufus uccide a vista, per partito preso, senza i dovuti controlli su chi o che cosa stanno attaccando, se un pericolo o una creatura sovrannaturale, sì, ma innocua. A lui importava solo ripulire, padri di famiglia, donne o bambini non faceva differenza. Ha portato avanti molte battute senza Louis, a sua insaputa, e okay, il ragazzo capisce di essere giovane, ma c'è una frase, una in particolare, che non sa collocare da nessuna parte.

''Abbiamo scatenato la prima Caccia alle Streghe'' aveva detto, mentre Louis origliava contro il muro ''Non vedo perché non dovremmo scatenare anche la seconda.''

Quello non quadrava, con quello che gli avevano detto. Louis sapeva che c'erano due paci, lo sapevano tutti, quella di Babilonia, rotta dalle streghe, e quella in corso, firmata a Nairobi due secoli dopo il processo e la Caccia di Salem. Ma 'scatenare'? Era quel verbo che non sapeva sviscerare, e che non capiva come inserire in quello che gli avevano sempre detto.

''Mark'' aveva detto una sera, e il suo patrigno aveva alzato gli occhi. Quando lo chiamava per nome, Louis era sempre contrariato, sfatto, arrabbiato, triste. E, quella volta, aveva gli stessi occhi freddi di quando si allenava, pianificava o cacciava. Più che un ragazzo, sembrava la macchina perfetta messa su da suo fratello. Mark aveva provato a non pensarci.

''Dimmi, Lou.''

''Che significa che abbiamo scatenato la prima Caccia alle Streghe?'' aveva domandato, ottenendo un silenzio che l'ha portato a continuare: ''Noi agiamo dopo uno sconvolgimento di base, non prima. Sono gli altri che 'scatenano', non noi. Mai. Allora perché Rufus ha usato 'scatenare'? Come se fosse colpa nostra?''

Don't Cast a Spell On Me ||L.S||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora