8. L'ispezione del territorio

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Il gruppo, ridotto a tre membri, uscì dal motel quando ormai la città era illuminata dalle luci dei lampioni e delle case, un momento di totale stasi in cui sembrava di essere all'interno di una città fantasma, congelata in una notte priva di anime. Il silenzio e la totale assenza di abitanti non scoraggiò la nostra squadra, che proseguì impavida e guardinga lungo quelle vie di cemento, osservando con attenzione e raccogliendo qualsiasi informazione possibile. O almeno lo fecero Miguel e Zilong, Nastia passeggiò per tutto il tempo noncurante, guardandosi intorno con scarso interesse e ignorando le confabulazioni dei due.

Quanto registrarono è quello che segue: alla gente del luogo non piaceva la vita notturna, altrimenti non si sarebbero chiusi dentro le loro case, oppure vedevano loro come nemici di cui aver paura. Potevano essere armati dietro quelle porte e quei giardini ben curati, nessuno di loro lo sapeva e nessuno di loro sarebbe andato a dimostrarlo, non con le loro armi fuori uso e dentro la cosmonave. Non vi erano impianti HY-PHO di registrazione e ascolto, come riportato dagli scannar, e nessun altro apparecchio elettronico sospetto, se non utensili casalinghi primitivi e calcolatori elettronici di altra epoca. Erano liberi di agire e parlare, valutando che nessuno li avesse seguiti nella loro perlustrazione. Faceva meno caldo di notte, ma l'ambiente era sempre ostile con la sabbia che si appiccicava al corpo e il calore emanato dall'asfalto. Non sapevano se quell'ambiente fosse il risultato di un disastro ambientale o un aspetto primitivo del territorio del Nemico, in quanto nel loro mondo era un'unica e colossale città. Se la prima opzione era vera, le persone si potevano rivelare più ostili, pronte a tutto pur di sopravvivere, anche espropriare loro di una tecnologia più avanzata. Nastia era sparita, probabilmente l'avevano persa di vista mentre osservavano ogni angolo della città, dimenticandosi di avere un peso morto da portare con sé.

«Un momento, Nastia!» esclamò Miguel preoccupato.

Si guardò attorno, cercandola, ma vide solo delle case clonate le une dalle altre e graziosi giardini troppo verdi per quel luogo desertico. Potevano averla catturata, potevano averla assassinata in un angolo buio della cittadina o un animale feroce era giunto dal deserto e ne aveva fatto il suo pasto. Non potendo accettare nessuna delle eventualità, Miguel tornò sulla strada principale trascinando con sé Zilong, attendo ad osservare la cura maniacale dei giardini più che un possibile pericolo. Si chiese persino se, nel caso in cui gli abitanti non si fossero rivelati ostili, poteva chiedere loro dei pareri di botanica.

Miguel, intanto, continuò la sua marcia, finché non vide una persona in lontananza, in piedi al centro della strada. Con suo sollievo era proprio Nastia, intenta a fissare l'insegna rosa al neon dell'unico locale della cittadina.

«Nastia, ma che diamine!» disse Miguel, non sapendo bene come rimproverarla.

«Credo di avere fame.» rispose lei, ignorando la sua preoccupazione.

«Adesso? Siamo in missione, ci vuole cautela, non fare uno spuntino in territorio nemico. Potrebbero avvelenarci appositamente o sedarci per poi vivisezionarci, o...»

Nastia lo ignorò ed entrò, piantandoli sulla strada.

Miguel restò a fissare la porta a vetri per un po', perplesso, finché Zilong non gli mise una mano sulla spalla.

«Credo che dovremmo entrare. Magari otteniamo anche delle informazioni.»

Poteva essere un'idea, era vero, ma il giovane non si fidava di quelle persone. Erano pure il Nemico, sin da piccolo gli era stato insegnato di diffidare di loro, soprattutto nel loro territorio.

Entrò, tenendo sempre la guardia alta, e trovarono Nastia seduta, intenta a fissare il tavolo davanti a lei. Aveva la stessa espressione di quando la proprietaria del motel le aveva dato le chiavi, ovvero quella che aveva ogni giorno.

Squadra 24 - Storia di un disastroso naufragio spazialeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora