L'undicesima onda

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L'unico atto di coscienza, da parte di Vidar, era stato il fatto che, nonostante giacesse tra i fumi di alcool ed erba, aveva comunque imposto ai suoi amici l'uso del preservativo.

Non voleva altre noie; non vedeva quei brutti musi da mesi, per cui aveva preferito evitare che Nero e Ru si beccassero qualche malanno – e lui dovesse poi spiegare il perché al centro analisi.

Il giorno dopo il festino, Vidar decise di ruolare in modo paterno, dato che da circa ventiquattro ore i ragazzi non avevano bevuto né mangiato, erano rimasti immobili a occhi sbarrati.

Vidar li spinse nella doccia e tentò di recuperarli, in qualche modo.

"Be', per quel che vale... sentivo che forse sarebbe stata una cattiva idea portare quella gente a casa" spiegò, insaponando i capelli delle sue bambole. "Mi dispiace. Nero, hey." Prese tra le mani il volto bronzeo del ragazzo, più pallido, ormai, e cercò i suoi occhi mediterranei, ma non fu degno di un singolo guizzo di palpebre.

Un fremito percorse la gola di Nero, che contrasse la mascella e si lasciò scappare una piccola lacrima lungo lo zigomo. Quello fu tutto. Non degnò di uno sguardo Vidar, bensì fu Ru a stupirlo. Ru spostò le iridi in direzione del marinaio, cogliendolo di sorpresa. Uno sguardo incantevole e assassino, uno sguardo di chi era presente, nonostante tutto. La sirena era pronta a divorare il marinaio.

"Ru, diglielo tu, non è successo ni-"

"Uccidici."

Vidar lo guardò, terrificato. "Che cazzo dici?"

"Uccidici!" Ru scattò in avanti e spintonò Vidar, con una forza inaspettata.

La vergogna. L'umiliazione.

Il viscido che sentivano dentro, addosso, l'ansia. Il panico durante tutta quella violenza gratuita e filmata. Gli sghignazzi degli amici di Vidar, che avevano immediatamente postato on line le riprese.

La morte sarebbe stata la fine delle loro sofferenze. Loro che avrebbero dovuto già morire sulla scogliera, chissà per quale sfortuna nella vita di prima.

"Ammazzaci, se hai il coraggio! Fallo!" il rosso fu bloccato a carponi, contro il tronco del lavabo. Vidar lo teneva, incredulo.

"Ru, calmati. Sta' calmo" gli disse, cauto, buttando uno sguardo anche a Nero. Ma al suo posto trovò solo una sagoma rigida, ancora sotto il getto della doccia. "Non succederà più."

"È TARDI!" abbaiò il rosso, con occhi scoppiati dal pianto, gonfi e iniettati di sangue. "O moriamo noi..." scivolò verso le mensole ancorate ad altezza di braccio. "O muori tu."

Le pupille di Vidar si restrinsero. Fu un attimo.

Evitò il primo fendente di Ru, che stringeva in mano una lunga lama da barba. Mancò di un soffio la giugulare di Vidar, che si sfregò le mani. "E così vuoi un po' d'azione, eh?"

"Nero, aiutami!" lo chiamò il rosso.

Nessuna risposta. Il moro osservava la scena come uno spettatore apatico al di là dello schermo.

"Nero!" ma prima che potesse raggiungerlo, si trasformò in un corpo a corpo.

Vidar riuscì ad atterrare Ru abbastanza facilmente. Il ragazzo era provato dalle fatiche, dalla paura e dai lividi, aveva dolore ovunque. La montagna muscolare di Vidar lo travolse ancora una volta, schiaffando via la lama dalla mano ferita del rosso. Muscoli inchiostrati di spire tribali, alcune più vecchie, altre fresche di tatuatore, avvolsero il collo e la vita diafana di Ru, facendolo sembrare un giovane Laocoonte senza figli. Solo nell'abbraccio del serpente.

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