La settima onda

658 27 19
                                    

In quella prima settimana, Vidar si decise a spiegare loro qualche parola; a cosa servivano gli oggetti principali della casa: frigorifero, brocca d'acqua, lavandino, water, letto e televisione. I due memorizzarono tutto con una rapidità estrema, cominciando addirittura a sillabare con successo.

Tutto si svolse miracolosamente bene. Lo psichiatra non rilevò nessuna traccia di schizofrenia paranoide, nei due, ed esattamente come l'agente Müller e la Croce Rossa, organizzò incontri futuri, posticipando i tempi dell'indagine.

Vidar riuscì a ottenere il meglio: un foniatra e un insegnante di norvegese statali, a carico del governo, senza sganciare un centesimo e con la certezza che i ragazzi avrebbero imparato la lingua prima di ogni pronostico. Non sbagliava.

La prima cosa che dissero furono i loro nomi.

Erano passati solo sette giorni dal loro ritrovamento. I ragazzi erano a pesca in un laghetto artificiale, vicinissimo a casa, sempre sotto la supervisione del loro tutore ormai legale, Vidar Steffen.

"Nero e... Mu? Che diavolo di nomi sono? Da dove venite? Dal Burundi?" li canzonò l'uomo, sistemando l'esca sintetica all'amo.

"Ru!" strillò il diretto interessato, improvvisamente aggressivo, puntellandosi sui gomiti.

Il rosso se ne stava sdraiato a pancia in giù, i pantaloncini annodati sopra le ginocchia, la canotta che esponeva al sole la pelle trasparente, immacolata, priva di qualsiasi lentiggine o efelide, nonostante quei capelli aranciati come un tramonto photoshoppato.

Vidar non lo degnava di uno sguardo. O meglio, non riusciva mai a guardare Ru in faccia quando ci si trovava a poca distanza. Con il moro, invece, era diverso.

"Ru" lo riprese pazientemente Nero, sguazzando i polpacci nell'acqua fresca. "Ringraziare. Vidar, grazie."

Il marinaio annuì, con una smorfia di fierezza. "Bravo, Nero, vedo che impari più in fretta del tuo amichetto. Mostrare riconoscenza è esattamente quello che mi dovete. Così come mi dovreste dire tutto. Devo chiedervelo di nuovo?"

"Io non lo so" ribatté Ru, sbuffando e lanciando un sasso verso una libellula sul pelo dell'acqua.

"Non lo so" confermò Nero, cercando di trovare qualche parola in più nel suo repertorio. "Dolore. Buio. Acqua."

"Questo lo posso immaginare anch'io" commentò Vidar, togliendosi il Panama di paglia dalla testa, stizzito. "Quanti anni avete?"

"Non lo so."

"Io non lo so."

"State insieme? Siete una coppia? Vi ricordate almeno questo?"

Nero strinse le labbra, per poi sorridere a Ru con una dolcezza infinita. "Insieme. Questo sì."

Vidar trasse un sospiro di sollievo. Se ricordavano quello, col tempo avrebbero potuto ricordare anche altro. Vidar, comunque, aveva spiegato loro molte delle regole base di quella cittadina: mai mostrare le proprie nudità in pubblico; orinare e defecare sempre nella tazza del water e, soprattutto, due uomini non potevano scambiarsi effusioni in pubblico. Il perché rimase loro ignoto, dato che Vidar si spazientiva dopo circa sei o sette frasi didattiche pronunciate di fila.

"Guarda che hai fatto, idiota! Che ti avevo detto? Sei testardo come un asino, eh?" Lo mortificava Vidar, indicando con uno schiaffo la pelle di Ru, diventata rossa come il carapace di un'aragosta.

"Male... Brucia" piangeva Ru. Nero, preoccupatissimo, non sapeva come farlo stare meglio.

Proprio quel giorno, dopo la pesca, Ru si era impuntato per rimanere al Sole, perché lo trovava piacevole. La sua pelle nordica, inevitabilmente, si era ustionata.

FEILDove le storie prendono vita. Scoprilo ora