La quinta onda

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Pelle di luna.

Pensò questo, di loro, Vidar, come prima cosa. Un pensiero estemporaneo, quasi poetico, ma che rifletteva esattamente quello che stava guardando: due ragazzi troppo belli per essere veri, per essere giusti. O umani.

Due maschi sulla ventina, a giudicare dall'aspetto di quella pelle tesa, soda, perfetta in un modo quasi irreale, inquietante. Perché Vidar aveva visto com'erano prima. I soggetti non potevano essere cambiati, non poteva aver avuto un abbaglio e averli scambiati per squali o delfini spiaggiati.

Tentò di ragionare, di ritrovare un briciolo di lucidità e mettere insieme i pezzi della sua memoria. Sì, perché Vidar era cresciuto con un padre che, ogni singola sera, gli raccontava storie fantasy, di popoli atlantidei, di sirene.

Era il ricordo principale della sua infanzia, quello più forte, che aveva caratterizzato la sua intera vita e l'aveva legato al mare per sempre. Le sirene.

Strinse forte il cellulare, facendosi sbiancare le nocche. Aveva le prove. La prova che suo padre aveva ragione, che quelle creature esistevano davvero e nessuno, nessuno, nella mente sconvolta e vorticante di Vidar, doveva avere il privilegio di sapere quello che lui aveva appena scoperto. Non subito. Doveva capire. Riordinare ulteriormente le idee e interrogare quei ragazzi, ammesso che fossero vivi.

I soccorsi impiegarono fin troppo tempo. Tempo nel quale i due corpi, apparentemente esanimi, iniziarono ad avere convulsioni, poi lentamente a destarsi, suscitando ulteriore sgomento in Vidar.


La prima cosa che Nero vide fu bellissima. Gli occhi dell'altro.

Due occhi lucidi, arrossati, iridi azzurre come le acque più limpide. Gli occhi di Ru. I capelli di Ru, come flutti fradici, incollati alla faccia, lunghi fino alle spalle. Non aveva mai visto capelli così, non aveva mai visto dei capelli, a onor del vero.

Nero era un guscio vuoto. Come Ru, si era reso conto di esistere, ma senza niente in testa, di vivere il qui ed ora.

La seconda cosa che Nero vide furono delle luci blu e rosse abbaglianti, fastidiose. Un rumore assordante, acuto. Gambe di uomo che si muovevano dall'autoambulanza a loro. Ma Nero e Ru non sapevano cosa fosse un'ambulanza, cosa fosse tutto quel trambusto che si stava creando intorno a loro. Non sapevano cosa fossero le cose del mondo.

La prima cosa che vide Ru fu bellissima. Il volto di Nero. Un volto umano.

Liscio, bruno-dorato, un grazioso neo accanto a due labbra che dovevano essere in grado di dire cose divertenti, pensò Ru, ma non sapeva perché. I capelli scurissimi e scapigliati di Nero, più corti dei suoi. Voleva accarezzarglieli, ma non ci riuscì.

Alieni.

Si sentivano alieni, ma un secondo dopo non sentirono più niente e nessuno, perché iniziarono a urlare e a scalciare, ferendosi tra gli spuntoni aguzzi degli scogli.

Una luce accecante fu puntata loro in faccia, le pupille si restrinsero contro quel faretto.

"A giudicare dal riflesso oculare, non sembrano sotto l'effetto di allucinogeni."

"È presto per dirlo."

"Hey! Gesù, ma dove pensano di andare?"

"Del Valium endovena! Veloci! Tramortiamoli con le Benzodiazepine, o questi due si ammazzano tra gli scogli!"

Non capivano quella lingua, suonava strana e incomprensibile.

"Teneteli! Cacchio, reggeteli..." strillava uno degli infermieri in tenuta fluo, ma che poi tirò un sospiro di sollievo all'arrivo dei motoscafi della polizia.

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