𝐃𝐮𝐞

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Non pensavo che avrei mai fatto una richiesta del genere nella mia assurda vita, eppure, eccomi qui: confinato in ascensore, in attesa che Paige si presenti. Sono tesissimo. Pensavo che avremo affrontato questa conversazione a colazione, giorni fa, seduti sul suo divano e con l'imbarazzo a farci da cornice. Invece non è andata così. Ammetto che non è stato semplice nemmeno smettere di scriverle, ma ho voluto darle del tempo per riflettere e magari cercare di capire il perché delle mie azioni. So che sarà arrabbiata con me, delusa dal mio comportamento ma... ho dovuto farlo. Non potevo lasciare che iniziassimo qualcosa con la consapevolezza che una certa mora ci sarebbe stata tra i piedi. A proposito, sembra che abbia finalmente capito che da me non otterrà nulla. Finalmente. Ora spero solo di non essere arrivato troppo tardi per poter sistemare le cose tra me e Paige. Per quanto mi faccia impazzire con i nostri costanti battibecchi, ho bisogno di lei.
Le porte dell'ascensore si aprono, il volto scioccato di Paige mi fa capire che mai e poi mai si sarebbe aspettata di trovarmi qui. Mi faccio avanti e afferro il suo braccio trascinandola dentro l'abitacolo, poi schiaccio un bottone a caso. Raggiunto quasi il primo piano, ne premo un altro. Barcolla in avanti, ancora troppo sconvolta dalla mia presenza e comprende che ho appena bloccato l'ascensore tra due piani.
La guardo, le braccia strette al petto e nonostante abbia un'espressione severa sul volto non posso far altro che pensare a quanto sia incredibilmente perfetta per me. Ci siamo appartenuti dal primo momento che abbiamo scambiato mezza battuta, solo che allora non eravamo ancora pronti, non capivamo.
Blocco il pannello, rendendole chiaro che non può, in alcun modo, premere il pulsante che farà ripartire l'ascensore. Assume la mia stessa posa e mi guarda dritto negli occhi. Dio, è così bella.
«Non pensavo che avrei dovuto arrivare a tanto per avere cinque minuti del tuo tempo» apro bocca.
Lei non risponde, continua ad osservarmi in silenzio.
«Ma va bene così» continuo. «Tu non sei una qualsiasi e a me non sono mai piaciute le cose facili.»
Santo cielo, se potessi toccarla anche solo per un istante. Penso che mi basterebbe per tornare a essere lucido abbastanza da continuare. «Probabilmente ne avrai ancora per un bel po', quindi, io comincio a parlare, almeno recuperiamo tempo...»
Paige aggrotta la fronte alle mie parole. Che ho detto di male?
Compio un passo nella sua direzione e in automatico lei ne compie uno indietro mettendo ulteriore distanza. Rimango paralizzato sul posto, ferito dalle sue azioni. Credo l'abbia capito, visto il modo in cui mi guarda.
«Non ho paura di te» mormora, un po' come se volesse metterlo in chiaro.
«Me lo merito» mormoro.
Capisco il perché del suo gesto, ma non posso negare che abbia fatto davvero male. Dovrebbe sentirsi al sicuro con me, cercare conforto nella mia persona. Invece io le ho fatto questo, l'ho ferita.
«Ho parlato con Amanda domenica mattina e le ho detto tutto quello che ti ho scritto in messaggio. So anche che vi siete viste mercoledì e avete parlato... mi dispiace che tu abbia dovuto vederla e che lei ti abbia detto quel mucchio di stronzate. A volte mi domando come io sia potuto finire con una donna come lei e la risposta... può non piacerti, ma l'amavo e basta. Non era così. In verità sembrava persino una ragazza innocente, soprattutto quando l'ho incontrata per la prima volta.»
C'è bisogno che lei conosca tutta la verità, perché non c'è cosa che io voglia tenerle nascosta. I miei segreti sono i suoi e spero che... alla fine di questa conversazione, varrà lo stesso per lei.
«Melany si è scusata per il suo comportamento e chiede scusa anche a te. So che non ti importa, però, ecco, già che ci siamo...» biascico nervoso.
«Le sue scuse non mi interessano. Soprattutto dopo il modo in cui ci ha mancato di rispetto al suo matrimonio» sibila dura.
«Lo so» annuisco.
«Bene.»
«Ti ricordi la conversazione che abbiamo affrontato a San Valentino?» domando, cogliendola alla sprovvista.
Di sicuro si sarebbe aspettata di tutto, ma non questo.
La vedo aggrottare di nuovo la fronte. Poi, dopo qualche minuto, annuisce e mi invita ad andare avanti.
«Mi hai chiesto perché fossi così arrabbiato, giusto?»
«Mmh.»
«Chiedimelo di nuovo.»
«Me lo dirai comunque» sospira «quindi va avanti» stringe le mani attorno alle braccia, come se potessero donarle un misero conforto.
Stavolta, quando muovo un passo nella sua direzione, Paige non indietreggia. Prendo un sospiro di sollievo.
«Ero incazzato all'idea di vederti in quello stato sapendo cosa avrebbe comportato per te avere un figlio e rinunciare alla vita che ti eri appena costruita» rivelo.
Sbatte le palpebre, cercando di fare mente locale. «Quella sarebbe stata la mia nuova vita. Che diritto avevi di sentirti in quel modo?» ringhia, punta sul vivo.
«Esatto, una vita che non ti eri scelta» ribatto, glissando la sua domanda. «Ma sai qual è la cosa che più mi ha mandato fuori di testa? A parte sapere che avresti avuto un figlio da un altro uomo, certo» mi avvicino, incastrandola tra il mio corpo e la parete dell'ascensore.
«Quale?» bisbiglia azzardando a guardarmi negli occhi per più di mezzo secondo.
Finalmente.
Mi sembra quasi di essere tornato a respirare ora che la tengo così vicina.
«È stato proprio provare quell'incazzatura nei tuoi confronti. L'ho capito mentre ti aspettavo fuori dal bagno e speravo con tutto me stesso che non fossi incinta che ho compreso che non eri solo la mia nemica... che eri altro
Le mie parole sembrano spezzare qualcosa dentro di lei, sembrano colpirla nel profondo e ne sono grato.
«Mi hai risposto solo «bene» quando ti ho confermato che non ero incinta» mi ricorda per la seconda volta.
«Ero incazzato con te perché non potevi tu, fra tutte, provocarmi tutte quelle sensazioni.»
Indietreggia, scontrandosi ancora una volta con la parete fredda. «Che... che stai dicendo?»
«Sto dicendo, Paige Bradshaw, che non me ne frega niente di aver vinto ogni singola sfida se ho perso te» sospiro piano. «Mi hai portato così tante volte all'esaurimento con i tuoi appuntamenti galanti, i tuoi vestiti corti, quegli occhi blu e quelle labbra tinte di rosso... da farmi totalmente perdere il senno. Il matrimonio è stata l'occasione perfetta per averti almeno un po' di tempo tutta per me senza distrazioni in mezzo.»
«Cosa?» biascica, sempre più a corto di fiato.
«Tutte le volte che siamo stati insieme? La spesa, San Valentino, la noia? Tutte cazzate. Volevo solo stare con te.»
Le rivelo tutto quanto perché non voglio più trattenermi. Come ho già detto, non voglio che ci siano più segreti tra di noi.
«Che stai dicendo, Caleb?» si raddrizza.
«Sto dicendo che ti amo, strega. Ti amo davvero in un modo che non riesco a spiegare, un modo che è pari al fastidio che voglio darti con le mie battutine» sfioro il suo viso per la prima volta in una settimana. Avvicino il viso al suo catturandole la bocca in un bacio cauto, lento e profondo come i sentimenti che nutriamo l'uno nei confronti dell'altro.
Questo contatto sa di casa.
Di completezza.
Di noi due.
Mi scosto, spalancando gli occhi quando noto i suoi occhi colmi di lacrime. Ne scaccio una e quando sto per allontanare la mano lei la riprende, tenendola ancora vicino al suo viso.
«Volevo solo chiudere con lei definitivamente prima di parlarti dei miei sentimenti» mormoro poggiando la fronte sulla sua.
«L'ho capito, ma mi sono sentita ferita. Ha fatto male.»
«Ti chiedo scusa, Paige.»
«Quindi mi ami da molto?» accarezza piano la pelle bollente della mia nuca.
«Penso di averlo capito quella volta in cui hai sganciato la bomba, semplicemente ho fatto il possibile per camuffarlo» accenno un sorriso rassegnato.
«Ti amo anch'io. Voglio dire, rimani sempre uno stronzo e continuerò a battibeccare con te ogni volta ma... lo farò con la consapevolezza che ti amo.»
«Sì?» mordo il labbro inferiore trattenendo un enorme sorriso.
«Sì», annuisce in conferma prima di attaccare le mie labbra in un bacio più intenso rispetto al precedente.
Questa.
Questa è perfezione.

𝐃𝐀𝐍𝐍𝐘, 𝐓𝐑𝐄𝐕𝐎𝐑, 𝐓𝐎𝐌, 𝐂𝐀𝐋𝐄𝐁Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora