Interno della villetta, 14 dicembre 1968. Domenica
Bianca si passò la manica del maglione sul naso che non smetteva di gocciolare.
«Ehi, aiutami, lo vedi che mi cadono le mani?». Anna, la maggiore delle sue sorelle, stava spingendo dentro casa un grosso vaso con dentro un abete.
Bianca aprì la porta: a contatto con il metallo della maniglia la mano si ritrasse. Lei la riaprì per afferrarla e tirarla a sé. Era una vecchia porta di legno massello con la parte centrale di vetro smerigliato, per far passare un po' di luce. Da dentro, quel giorno non si vedeva quasi nulla; la condensa lo impediva. Fuori, il vetro era tutto bagnato. Da sotto la porta gli infissi di foggia antica lasciavano passare l'aria gelida di quella mattina.
«Dai, spostati, sei sempre in mezzo!»
Bianca, accucciata sul pavimento, provò a tirare il vaso in mezzo all'ampio ingresso, facendolo scivolare sul pavimento di marmo bianco. Era troppo pesante.
«Vedi che non ce la fai? Guarda che se lo pieghi in quel modo... non vorrai mica troncare i rami, eh! Ci sono stata mezz'ora a scegliere il più bello...». Anna si fermò in mezzo all'ingresso. Dalla bocca le uscivano piccole nuvole di fumo bianco.
«Eccomi! Aspettatemi!»
Venne in aiuto Agnese, la sorella intermedia tra loro. Anna aveva già diciotto anni e la patente. Agnese ne aveva quindici.
Mancava ormai pochissimo alle vacanze di Natale.
Le due ragazze armeggiavano intorno all'albero, trascinandolo nella posizione in cui sarebbe rimasto fino al giorno di Befana.
«Ma siete matte? Chiudete la porta che il caldo se ne va! Vogliamo regalare altri soldi di bolletta??».
La voce della madre, Giovanna, echeggiò dalla cucina, in uno dei suoi ritornelli preferiti. Si era affacciata nell'ingresso e aveva assistito alla scena. La porta si richiuse immediatamente: era obbligatorio quando, col freddo, ogni porta aperta sull'enorme ingresso faceva fuggire dalle stanze contigue il calore, che veniva mangiato dalla tromba delle scale, come da una bocca affamata e vorace.
«Dai, sbrigati polentona! Sempre con la testa da qualche parte! Lo vedi che fai ghiacciare tutta la casa?» disse Anna rivolgendosi a Bianca.
Ma era sempre colpa sua se la mamma si arrabbiava? Seduta sul primo gradino della scala di marmo che portava al piano di sopra, infagottata nel maglione da cui spuntavano solo le dita arrossate dal freddo, Bianca si alzò di scatto per chiudere la porta di casa rimasta accostata, sotto gli occhi severi delle sorelle. Poi con un mezzo giro su se stessa trotterellò verso l'albero, continuando a tirare su col naso.
Nella tromba delle scale, che con un'ampia curva si inerpicavano al piano di sopra, ogni anno veniva sistemato l'albero di Natale che ne riempiva una buona parte, specialmente in altezza. Per addobbare i rami alti le sorelle salivano fino almeno a metà. Anche quest'anno lo avevano scelto altissimo: un cimello senza radici che poi finiva secco e abbandonato.
«Ma perché dopo non lo possiamo piantare in giardino? E poi magari il prossimo anno lo possiamo addobbare con le luci! Dai, dai, mi piacerebbero tantissimo le luci in giardino, ce le mettono a casa di Luisa!» fece Bianca.
Con Luisa erano amiche dalla prima elementare. Abitava dove finiva la strada, poco prima del campo che la chiudeva, in una casa con un pezzetto di giardino davanti, non grande come quello di Bianca. In una piccola aiuola avevano piantato un oleandro e tutti gli anni, a Natale, i suoi ci mettevano un filo di luci colorate.
«Ma lo devi chiedere ogni Natale? Non c'è posto per un abete in giardino. E poi la tromba delle scale è enorme, se ci mettiamo un abete piccolo non si vede neanche! Questi sono cimelli, hai capito? Li tagliano da abeti altissimi, non hanno radici!»
Bianca si rimise a sedere sul primo gradino, tirandosi i giretti colorati del grosso maglione sotto il sedere per scaldarlo un po'.
Si figurò un'enorme distesa di abeti come quelle che aveva visto nel libro della fiaba di Pollicino e i boscaioli che sceglievano le cime più belle per tagliarle con le grosse seghe.
E se li avesse visti la strega? Sarebbe stata zitta o li avrebbe mangiati? Lei voleva bene agli alberi. Forse, in questo caso la strega avrebbe fatto bene a mangiarseli. La maestra diceva che chi buttava via la roba faceva male agli altri. Fece una carezza a un ramo, senza avere il coraggio di dire nulla. Anna e Agnese facevano ruotare il vaso.
«Ecco, così va bene. Qui è un po' vuoto, meglio metterla dietro questa parte, tanto c'è la scala che copre!» fece Agnese. Lei era brava in tutto e molto precisa.
Bianca continuava a gironzolare intorno alle sorelle e all'albero, insaccata nel suo maglione bianco da sci che le aveva fatto Agnese. Le maniche raglan le scendevano ben oltre le spalle; il mezzo collo di lana spessa le saliva fin sotto il mento e lo grattava un po', facendolo diventare rosso e ruvido. Sua sorella sapeva anche lavorare ai ferri.
«Vai a dare il braccio a nonna, vedi che scende le scale!»
Nonna Olga era quasi arrivata alla curva. Stava per affrontare il punto più ripido, dove i gradini di marmo si stringevano verso il centro. La nonna si reggeva con tutte e due le mani alla ringhiera di ferro battuto grigio e scendeva come i gamberi, come faceva sempre. Le pantofole non facevano nessun rumore.
«Eccomi, aspetta che arrivo!»
Fece la scala a saltelli fino al gradino dov'era la nonna, che, come sempre, anche quella volta non aveva chiesto aiuto. Guai se non le fosse andata incontro: sarebbe stato un vero schiaffo. Nonna Olga se la prendeva moltissimo per cose da nulla, per esempio se Bianca si dimenticava di portarle un bicchiere d'acqua o un fazzoletto, quando lo chiedeva.
«Eh, lo so, tu non mi vuoi bene, non pensi più alla tua vecchia nonna, ora che sei diventata una bambina grande!», diceva in quei casi. Bianca sentiva stringersi la gola e sforzava le labbra in un cenno di sorriso.
«Ma non è vero nonna, perché dici così?» rispondeva, pensando che se il babbo l'avesse sentita si sarebbe presa una bella sgridata. Nessuno a casa poteva mancare di rispetto alla nonna, diceva lui. Solo perché era la più vecchia di tutti.
Bianca ora sentì un formicolio nelle gambe che faticavano ad andare così lente. A ogni gradino faceva prima scendere la nonna e poi lei lasciava scivolare i piedi insieme, con un piccolo saltello nelle ciabatte di stoffa che sul marmo viaggiavano benissimo. Così accorciava il tempo della discesa.
«Andiamo ragazze, tra poco arriva babbo! Per una volta che non siete a scuola venite a dare una mano!»
«Vai tu intanto, lo senti che mamma sta chiamando! Arriviamo», fece Anna.
Stavano parlottando fitto tra loro, non la volevano tra i piedi, era chiaro. A malincuore Bianca si separò dal suo albero e andò in salotto ad apparecchiare.
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SCALE
General FictionSiamo negli anni '60, in un quartiere di periferia di una cittadina di provincia destinato, in futuro, a diventare residenziale. In una strada che termina in un campo dove ancora non si è costruito, a due passi dalla scuola elementare del quartiere...