Fu un grido a svegliarla. Fece un salto nel letto. Solo quando aprì gli occhi le venne in mente che non c'erano sveglie quella mattina. Vigilia di Natale. Primo giorno di vacanza. Si girò dall'altra parte e affondò la faccia nel cuscino di sua sorella che non c'era già più. Man mano che il corpo si risvegliava, la testa ricominciò a ronzare, come la TV fuori sintonia. Allungò le gambe dall'altro lato: era sempre caldo. Agnese doveva essersi alzata da poco. Si rotolò nel letto, il letto tutto per sé. Ma un maschio avrebbe avuto la sua camera? Certo che sì. Anna e Agnese avrebbero diviso una camera e l'altra sarebbe toccata a lui. Cioè, a lei. Sarebbe stata il maschio di casa e la mamma le avrebbe fatto fare tutti i giochi che voleva, come Carla con Alberto. Forse avrebbe anche preso un cane, tanto i maschi si sporcano sempre. Si sarebbe rotolata in giardino col suo cane. Però con i soldatini non sapeva cosa farci, non capiva che ci trovassero i maschi di interessante nel metterli in terra in fila e poi fare i versi degli spari.
Ormai la nebbia del sonno era dissolta. Decise di alzarsi e andare a vedere cos'era successo.
«Oooh! Bianca! Alzati di lì, vieni a vedere! E dai!». La voce di Anna. Fino all'ora di pranzo erano sole in casa, oggi.
Allungò un piede fuori delle coperte: un soffio freddo dalla porta accostata si portò via il tepore del letto, verso il corridoio in direzione delle scale.
Si mise un paio di calzettoni a coste, di quelli da montagna, e il maglione da sci sopra il pigiama. Scese le scale a saltelli, a piedi uniti. L'albero era spento. Si affacciò in cucina ancora con i capelli spettinati, era sfuggita al pettine di nonna Olga. Doveva essere in camera sua a quell'ora; forse diceva le preghiere. Qualche volta l'aveva vista quando andava a scuola di pomeriggio e la mattina restavano sole in casa: prendeva il rosario e borbottava parole incomprensibili.
«Ehi, ma che...» sentì che la bocca le era rimasta spalancata: di là dal vetro di cucina il giardino era coperto di un velo bianco, come un lenzuolo. Le pietre del cardoso, che formavano dei sentieri in mezzo al ghiaino che lei si divertiva ad attraversare a saltelli, come a campana, si vedevano appena. Il cielo si fondeva in un mare di perla fino a dove arrivava lo sguardo, laggiù verso la pineta oltre il muro del confine col vicino. Qualche accumulo rimasto sugli incavi dei pini, agli incroci dei rami più grandi, faceva l'effetto di una coperta candida e morbida: le venne voglia di andarcisi a rannicchiare, come gli gnomi dei boschi. Doveva aver smesso da poco.
Bianca sentì arrivare dal profondo un'onda incontenibile, che prese subito il posto dello stupore. Era quasi Natale. Bisognava andare da Luisa a fare a pallate di neve: Anna e Agnese non ci sarebbero mai state a giocare con lei. E bisognava farlo subito, prima di pranzo quando sarebbero tornati il babbo e la mamma, che il pomeriggio della vigilia non lavoravano.
«Mi vado a vestire!», sussurrò Bianca facendo con discrezione marcia indietro verso il corridoio. Doveva solo riguadagnare le scale e sperare che si scordassero di lei. La nonna era scesa.
«Ma tu guarda, la neve! Pure! Ma non poteva fare quelle belle giornate, anche fredde eh, come quando abitavamo laggiù a Como, ai tempi della guerra, con vostro padre e vostro nonno...»
Ecco il momento buono. Quando attaccava i suoi racconti la nonna si dimenticava tutto il resto.
«Sì, torno presto! Stai tranquilla nonna!» gridò pochi minuti dopo, infilando la porta di casa veloce come il vento.
Passando sul ghiaino appoggiò le scarpe con delicatezza, come se camminasse sulle uova. Non lo doveva sporcare quel bianco, doveva rimanere così fino a notte. Lo avrebbe voluto vedere ora, il racconta balle di Maurizio. Buon per lui che la scuola non c'era, se no sai che risate si sarebbe fatta! La neve il ventiquattro di dicembre! Non succede mica per caso.
Le passò accanto una signora di mezza età con il sacco della spesa in mano: la guardò. Anche lei camminava leggera, come se volasse? Avrebbe voluto chiederglielo. Era senza peso la neve. Sembrava di essere come gli astronauti che aveva visto in TV, che galleggiavano nell'aria dentro le loro capsule. Sulla strada non era ancora passata nessuna macchina. Il bianco perlaceo del cielo e della strada coperta di neve la costringeva a socchiudere gli occhi, come per il troppo sole. Il sorriso di suo padre che le diceva di andare a letto per non fare arrabbiare Babbo Natale, le luci dell'albero, e sotto quei finti regali: le immagini scorrevano nei suoi occhi come la pellicola di un film. Come lavato in lavatrice, il mondo somigliava alle lenzuola di bucato che stendeva la nonna in giardino. Sentì nel naso il profumo di pulito della camicia del babbo.
«Ehi! Hai visto!». Era già al cancello di Luisa, non se ne era accorta. La vide che reggeva Buck abbracciandolo dal dietro, mentre lui si era lanciato verso il cancello per saltarle addosso. Quando si alzava sulle zampe di dietro le arrivava all'altezza della faccia. Lo abbracciò. Le luci da loro erano accese anche di giorno e l'oleandro ora aveva qualche pennellata bianca.
Non rispose nulla, infilò la faccia nel collo di Buck e respirò il suo odore di cucciolo bagnato, che arrivò a scaldarla fino in fondo alla pancia.
«Dai, facciamo a pallate nella strada davanti?», disse Luigi, che era apparso sulla porta di casa. La strada era deserta più che mai in quel giorno di vacanza. «Perché se aspettiamo troppo si scioglie! Qui in giardino è quasi sparita, è stato Buck, sarà già un'ora che ci scorrazza sopra!».
Guardò in basso: in qualche punto il bianco resisteva, soprattutto nell'aiuola dell'oleandro. Ma il pavimento non era più bianco: la neve calpestata si stava trasformando in una poltiglia grigiastra che lasciava trapelare il rosso scuro delle mattonelle. Sembrava sporco.
Andarono fuori. Ai bordi della strada resistevano piccoli cumuli ghiacciati che facevano diventare le dita rosse, anche sotto i guanti. L'omino di neve che costruirono proprio a lato del cancello di Luisa era piccolo, con la pancia poco più grande della testa. Alberto gli mise un cappellino di lana rossa, una carota al posto del naso e due biglie colorate all'altezza degli occhi: sembrava vero.
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SCALE
General FictionSiamo negli anni '60, in un quartiere di periferia di una cittadina di provincia destinato, in futuro, a diventare residenziale. In una strada che termina in un campo dove ancora non si è costruito, a due passi dalla scuola elementare del quartiere...