Sul divano

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Bianca si strinse alle ginocchia di suo padre. Lo faceva tutte le volte che alla TV appariva quel vecchio tutto vestito di nero. Si metteva in piedi davanti a un leggio e recitava versi con una voce profonda che le faceva un po' di paura, anche se non voleva ammetterlo. Si chiamava Giuseppe Ungaretti ed era un vecchio poeta molto famoso, le aveva detto nonna Olga. Ma perché tutto nero lui, nero anche lo sfondo? Bianca non capiva e ogni volta voleva chiedere: ma in quei momenti bisognava fare silenzio assoluto: primo canale, Odissea. Al minimo sussurro rispondeva uno «Ssshhhh!».

Anche quella sera non si udiva un fiato: stava cominciando la puntata di Polifemo.

Nonna Olga era seduta nella sua poltrona in prima fila; dietro di lei, sul divano, la mamma con le sorelle; il babbo nell'altra poltrona con Bianca accoccolata sul tappeto, tra le sue gambe. Era la formazione della sera alla TV. Troppo stretto il divano per tutte e tre le sorelle e la mamma.

Si strinse tra i polpacci di suo padre. Ora il ciclope stava afferrando uno per uno i compagni di Ulisse che fuggivano disperati in tutti gli anfratti possibili. Bianca infilò la testa dietro il polpaccio sinistro  e si tappò le orecchie. Quando si affacciò con un occhio solo, vide Polifemo sghignazzante che stava cullando in una mano un uomo come se fosse stato un sassolino levato da sotto una scarpa. Lei infilò di nuovo il naso tra i pantaloni del babbo.

L'odore del lavaggio a secco, misto a una nota legnosa di dopobarba, le penetrò le narici. Sentì ancora quella pena, come se uno spillo la bucasse. E se anche lui le avesse mentito? Se non fosse vero nulla, Babbo Natale le renne i regali eccetera, e fosse tutta un'invenzione? Magari erano tutti d'accordo, compreso il babbo, anche la nonna che le ripeteva ogni giorno che le bugie non si dicono. La fitta si fece più acuta.

Gli urli erano finiti, mise fuori la testa. Ora Ulisse stava pensando a un piano per fuggire. Lo vide preparare l'asta acuminata e il fiasco del vino.

«Chi sei?». La voce del ciclope la fece sobbalzare.

«Come ti chiami?»

«Nessuno! Mi chiamo Nessuno!», rispose Ulisse, da un luogo dove si era nascosto.

Anche lei sarebbe stata sveglia quella notte: aveva messo la lettera per Babbo Natale sotto la porta di casa. Doveva assolutamente controllare.  Magari aveva ragione Maurizio: forse Anna o Agnese sarebbero andate in punta di piedi a prenderla per farla sparire. Sarebbe rimasta sveglia. Sicuro. Non era più piccola, lei. Pasticche o no.

Raddrizzò la schiena e uscì allo scoperto.

Il ciclope ubriaco era caduto al suolo con un fragore orribile, che aveva fatto risuonare le pareti della caverna. Ulisse stava legando alle pance delle pecore i suoi compagni per fuggire. Aaagh, un grido lacerante risuonò fin nella pancia di Bianca. Si rintanò di nuovo tra le gambe del babbo. Polifemo urlante di dolore si era svegliato cieco e vagava come un pazzo per la grotta, alla ricerca di Nessuno. Uno ad uno i compagni di Ulisse si avventuravano verso l'uscita, ora che Polifemo aveva rotolato l'enorme masso d'ingresso. Ulisse era l'ultimo. Uscivano aggrappati alle pecore, mentre il ciclope inveiva e, disperato, gridava il suo nome. Ecco, ce l'avevano fatta.

Lanciò un'occhiata attraverso i vetri della porta di salotto: nell'ingresso buio le luci dell'albero si accendevano e si spegnevano, ritmicamente. Babbo Natale sarebbe arrivato, di sicuro. Maurizio era solo un racconta balle. E se qualcuno le raccontava bugie lei lo avrebbe steso: le bugie a casa sua non le diceva nessuno. Ulisse ora era sulla nave con i pochi compagni sopravvissuti. Bianca sentì il respiro riprendere tranquillo, allentò la stretta alle gambe del babbo.

Guardò ancora verso l'albero illuminato. 

Le luci le aveva messe Agnese, qualche giorno prima. Bianca aveva infilato la testa vicinissima alle mani della sorella, che si era fatta largo allontanandola un po'.

Prima prova: l'albero non si era acceso. 

«Ti vuoi levare di qui che mi pari la luce? Vai a fare un giretto che ti chiamo quando ho finito!»

Sua sorella si era messa a controllare il filo, una lampadina alla volta. Alla fine aveva trovato quella rotta: bastava una per far saltare tutto. Bianca l'aveva osservata tagliare all'altezza della lampadina rotta, ricomporre i fili e unirli di nuovo. Aveva continuato a girellare e saltellare, in attesa. 

Finalmente era venuto il suo turno: attaccare le palline. Le aveva svolte con delicatezza una per una dalla carta in cui le riponevano perché non si rompessero, e le aveva appese. 

Ora lo fissava, rintanata nel suo cantuccio preferito, mentre passavano le musiche della sigla. Finse di sbadigliare. Era l'ora di andare a letto, ma lei non avrebbe dormito. 


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