«Ciaoooo!».Anche quel pomeriggio Bianca sentì il grido di Luisa mentre si tirava dietro il cancello. Quando entrò nel giardino di casa, l'odore pungente delle fronde della mimosa la aggredì, come se qualcuno le avesse gettato addosso un mantello bagnato. Era immersa nel buio, rischiarato da una lampadina debole accesa sulla porta d'ingresso.
Ora avrebbe fatto il giro del giardino. Sarebbe andata dietro, sul lato che non si vedeva dalla strada, quello coi pini. D'inverno sua madre chiudeva le persiane della cucina, che affacciava proprio da quella parte: diceva che così restava più caldo e c'erano meno spifferi. Lì il buio era denso e a quell'ora del pomeriggio gli uccelli tacevano, al riparo tra i rami. In quel silenzio fitto era come stare in un batuffolo di cotone.
Doveva pensare a un piano. Natale era alle porte e lei avrebbe scoperto la verità. Li avrebbe messi alle strette. Superata la lampadina sulla porta d'ingresso, già nel corridoio laterale gli occhi non riuscivano a vedere nulla, come sotto le palpebre serrate. Le pupille si dilatarono e le gambe si irrigidirono, come se volessero fare resistenza. Bastava mettere in fila i piedi sul ghiaino, uno dietro l'altro. Si concentrò su Buck, che ora forse era già entrato al caldo nel garage di Luisa, con tutte le luci accese in casa e l'oleandro illuminato fuori. Sentì sul viso il suo pelo morbido e sulla faccia la lingua ruvida.
«Guarda che se lo prendi in braccio ti lecca!», le diceva Luisa.
A lei piaceva la lingua calda sul viso. E poi Buck leccava tutti, piccoli e grandi. E i grandi non si lamentavano.
Qualcosa cadde da un ramo di uno dei due pini, facendo un rumore che sembrò un tonfo secco in quel silenzio denso come le nuvole compatte che promettevano neve. Un brivido le corse lungo la schiena. Forse un rametto smosso da un uccello? Si accoccolò sul gradino davanti alla cucina, tirandosi le ginocchia contro il petto, dentro il maglione.
Forse i maschi avevano ragione. Babbo Natale era una frottola per le bambine.
«Sai quante botte nella pancia mi sono data quando ho scoperto di essere incinta un'altra volta!...e poi sei nata tu, la terza femmina», le aveva raccontato una volta sua madre, con il tono di chi racconta qualcosa che non lo riguarda. Adesso, a ripensarci, si sentì afflosciare sul gradino come un palloncino bucato. Sarebbe stato meglio nascere maschio, allora?
Tirò un sospiro profondo per fare spazio nella testa che le ronzava.
Era forte come un maschio, si disse mentre rimaneva immobile sul gradino. Un nuovo fruscio la fece sobbalzare. Gli occhi di un gatto che comparve in giardino fecero irruzione nelle tenebre, come due pallottole. Strinse forte le ginocchia, tenendole abbracciate, con le mani infilate sotto le ascelle.
«Biancaaa! ma dove sei??». La voce di sua madre. La stava chiamando sul cancello e sembrava arrabbiata. Sgattaiolò raso muro nel buio fino alla porta accostata e sgusciò dentro.
«Mamma! Sono qui, che fai, non mi vedi?», rispose a voce alta, affacciandosi alla porta.
«Ehi, ma dov'eri finita? È questa l'ora di tornare a casa?», fece Giovanna, tornando a passo svelto.
Ero a giocare con Buck e le luci di Natale e c'era caldo e ci divertivamo un sacco e nessuno brontolava e la cornicetta di Luisa era sul mobile con le altre cose di Natale, pensò.
Un'onda bollente la percorse e le infiammò il viso e le orecchie.
«Scusa, ho fatto tardi», rispose abbassando lo sguardo.
Sua madre era già passata e tornata alle sue occupazioni.
Bianca si fermò nell'ingresso, con la luce spenta. Forse ai maschi non dicono frottole? Le venne in mente Maurizio. Si accoccolò sul suo gradino e si mise a fissare l'andata e ritorno delle luci dell'albero.
L'intermittenza era imprecisa: dopo un po' che la spina era attaccata, la sera, ad ogni accensione seguiva un lieve ronzio e poi lo spegnimento, che durava una manciata di secondi che parevano dilatarsi come un gommino. Ogni volta sembrava che le luci non si sarebbero più riaccese. Tra la prolunga e il filo, quella spina grigia compiva il miracolo, ma sembrava che, ogni volta, facesse una gran fatica a ripeterlo. L'albero di casa sua stava più spento che acceso e, nel silenzio, quel ronzio era una mosca insistente che faceva un voletto, si fermava, e poi quando sembrava sparita riprendeva a volare.
In cerca di un piano, Bianca si mise a contare. Se le luci si riaccendevano prima del quattro Babbo Natale esisteva. Meglio cinque, si disse. Teneva gli occhi a fessura, con le ciglia nere lunghissime che quasi si toccavano e lasciavano passare appena uno spiraglio di luce.
Uno, due, tre, quattro...evvai, accese! In fondo non era importante Babbo Natale, si diceva ogni volta che le luci ripartivano. L'importante era sapere la verità.
Ad ogni accensione, un lago caldo le si allargava dentro e le allentava i muscoli dell'addome. Lo vedeva arrivare, Babbo Natale, tra le ciglia socchiuse: le renne tiravano la carrozza illuminata piena di regali e frenavano proprio lì, davanti al suo cancello.
«Ecco i vestiti per Giuly, mettili là sotto l'albero», diceva ai suoi aiutanti. Perché non poteva fare tutto da solo.
Poi, al buio, mentre contava muovendo le labbra, tra le ciglia apparivano le facce ghignanti di Maurizio e Giuseppe, in alternanza con quelle di Anna e Agnese.
Uno, due, tre, quattro, «Ma che ci fai lì sola al freddo?», oddio, cinque...una stilettata le arrivò in pieno stomaco. Suo padre le passò accanto mentre andava nel suo studio.
«È tardi! Non dovresti andare a letto? Domani è la vigilia di Natale, non vogliamo mica far arrabbiare Babbo Natale proprio stasera?».
Le prese il viso tra i palmi delle mani. Aveva mani piccole e un po' tozze, suo padre, ma le dita erano grassocce e morbide, identiche alle sue. Gli appoggiò il viso sulla pancia e lui la strinse tra le braccia, con delicatezza. Gli arrivava poco sopra la cintura dei pantaloni. Ora me lo spieghi se Babbo Natale c'è o no. Perché c'è uno a scuola che dice che non esiste. Si spalmò su quella pancia buffa, rigonfia e dura come un palloncino che sta per scoppiare da un momento all'altro. Prese un respiro profondo, molto profondo che dalla punta dei piedi le risalì la schiena. Stava cercando di dare fiato alle parole, quando lui sciolse l'abbraccio.
«Vado di là, che ho un sacco da leggere ancora», aggiunse con un sorriso che distese le sue labbra morbide e sottili e gli allargò la fossetta sul mento. Bianca ci sprofondò dentro.
«Va bene, vado a letto, buonanotte» rispose staccandosi da quella ciambella che sapeva di camicia pulita.
Si avviò su per i gradini a saltelli, lassù era buio ma ora le luci erano accese. E lei non contò.
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SCALE
General FictionSiamo negli anni '60, in un quartiere di periferia di una cittadina di provincia destinato, in futuro, a diventare residenziale. In una strada che termina in un campo dove ancora non si è costruito, a due passi dalla scuola elementare del quartiere...