Era ormai buio. Sotto l'albero erano comparse nuove ceste con bottiglie di spumante, datteri e frutta secca. C'era anche un pandoro Melegatti. Menomale, per Bianca mangiare il panettone era complicato: doveva togliere uno per uno i chicchi di uvetta e i canditi senza farsene accorgere e metterli nel piatto di suo padre. La consistenza molliccia dell'uvetta e il duro dei canditi sotto i denti le facevano chiudere lo stomaco.
«Ma come, non ti piace il panettone?».
Immaginava la voce di nonna Olga che dall'altro capo del tavolo l'avrebbe notata subito. A sua madre non importava, bastava non lasciare roba nel piatto. Ma alla nonna non sfuggiva nulla. Avrebbe dovuto essere veloce, mettere uvetta e canditi nel piatto del babbo mentre lei non la guardava.
Era difficile quel pomeriggio trovare un buon posto dove stare, per Bianca. A casa c'era l'agitazione della vigilia: la mamma e la nonna erano in cucina a preparare per il giorno dopo. Nell'aria, in cucina, si addensava il vapore della pentola del brodo. Il profumo di alloro misto alla cipolla, sprigionato dalla lunga cottura, si diffondeva dalla cucina e avvolgeva nelle sue spire morbide il salotto, l'ingresso e le scale, fino ad arrestarsi nel grande spazio vuoto al piano di sopra, di fronte alle porte delle camere che restavano chiuse.
Bianca stava giocando con Giuly sotto l'albero, avanti e indietro con le luci, quando squillò il telefono.
«Ehi, ti puoi scansare? Questo è un paziente» le disse suo padre, avvicinandosi. Quello era un giorno speciale, anche lui era a casa. Ma aveva da fare, c'era sempre qualcuno che si sentiva male anche la vigilia di Natale. Le fece un buffetto mentre lei si allontanava.
Era troppo tardi per una fuga da Luisa. Al piano di sopra le camere erano occupate: Anna e Agnese erano a casa in vacanza a fare cose poco interessanti, come chiacchierare tra loro. Bianca si infilò in cucina e col naso schiacciato contro il vetro guardò fuori. Il giardino era immerso nell'oscurità, non si poteva distinguere nulla. Anche il cielo era nero, senza stelle e senza luna. L'aria gelida che passava dalla fessura della porta finestra le entrò sotto al maglione: quando staccò il naso e le mani sul vetro rimasero le impronte, come i punti da collegare per comporre una di quelle immagini dei libri per bambini.
Il tempo era brutto, forse avrebbe nevicato ancora. Quando era venuta via da casa di Luisa si era accorta che la neve in strada era quasi scomparsa. Rimaneva solo qualche mucchietto qua e là. E se anche la neve si fosse presa gioco di lei? E se fossero tutti d'accordo? Riconobbe la puntura di spillo nel petto. Neppure le luci del giardino di Luisa le bastarono ad allargarlo di nuovo. Ma allora perché i grandi dovrebbero raccontare bugie? Non poteva essere. Non facevano che ripetere che non si doveva fare. Sentì un po' di calore e luce farsi strada dal basso della pancia e scaldarle un po' la schiena, come una carezza.
«Ci siamo quasi, eh! A quest'ora Babbo Natale sarà già per la strada» le disse nonna Olga, che le si era avvicinata da dietro le spalle.
«Vedi come è scuro il cielo? Ma lui trova la strada giusta per arrivare, c'è la cometa che lo guida»
«Ma come fa a sapere di preciso l'indirizzo? E se sbaglia casa?», ribatté Bianca, piccata. Si girò e guardò la nonna dritto negli occhi. Da dietro gli occhiali lei alzò le sopracciglia dipinte di nero e allargò le braccia.
Non li dice a nessuno i suoi segreti, Babbo Natale. Arriva a notte fonda perché nessuno deve sapere. Ma lui sa benissimo dove trovare i bambini buoni.
La voce della nonna le fece venire in mente quella beffarda di Maurizio. I vecchi dicono la verità e vanno ascoltati, diceva sempre il babbo. A Maurizio avrebbe risposto questo, si disse. Sentì che dentro si ristabiliva un po' di ordine, il ronzio nelle orecchie diminuì.
Abbracciò la nonna e si diresse verso le scale. Forse nel suo spazio avrebbe trovato qualche gioco da fare. E poi l'ora di cena era vicina, ormai.
Si incamminò su per i gradini al buio, sotto la luce irregolare dell'intermittenza, tenendo per mano Giuly. Non avrebbe contato. Era venuta la neve giù dal cielo e la nonna le aveva ripetuto come stavano le cose. Di che c'era ancora bisogno? Raddrizzò la schiena, come se volesse scrollarsi un peso dalle spalle. Salì un gradino. Certo, c'erano i segreti di Babbo Natale che neanche la nonna sapeva. Ma senza segreti che essere speciale sarebbe? Fece il secondo gradino. Magari l'indomani, dopo il pranzo di Natale, sarebbe riuscita a fare una fuga da Luisa. Gli avrebbe parlato della cosa, si disse, e subito avvertì la puntura di spillo. Terzo gradino. C'era solo da aspettare che l'orologio scorresse, si disse mettendo i piedi uniti e saltellando in salita. Un salto lei, un salto Giuly.
Arrivata alla curva, un rumore la distrasse dai suoi pensieri. Sembrava carta stropicciata. Accidenti, qualcuno stava nel suo posto? A fare cosa? Dove sarebbe andata ora?
Tra le palpebre abbassate sugli occhi fissi sulle nervature grigie dei gradini, comparvero immagini confuse: una figura accucciata, di spalle, capelli scuri lisci, un'altra accanto, sempre accucciata e di spalle, capelli più chiari e mossi. Aprì un'altro spicchio di palpebra rallentando la salita: ma chi...? Le sue sorelle? Ora le arrivarono alle orecchie altri rumori: le loro voci. Sussurravano e ridacchiavano.
Era agli ultimi gradini quando davanti agli occhi le apparve l'intero spazio, come il palcoscenico quando si apre il sipario.
Carta lucida, nastri colorati, scatole e oggetti di varia forma. Le sue sorelle...stavano impacchettando regali! Ma perché...?
Un grido le si strozzò in gola.
Sentì che le gambe si afflosciavano e Giuly le sfuggì di mano, cadendo rumorosamente. Negli occhi come in una galleria di immagini sfilarono Maurizio e Giuseppe e Babbo Natale e la slitta e il giardino imbiancato e l'omino di neve. La testa le ronzava e gli occhi le si riempivano di lacrime. Doveva fuggire ma non ne ebbe il tempo: Anna e Agnese si accorsero di lei quando Giuly cadde giù per la scala. Si girarono e sollevarono i pacchetti perché li vedesse meglio. La guardarono fissa negli occhi e dissero serie:
«Babbo e mamma ti hanno trovato e gli facevi pena, così ti hanno adottato. Non sei nostra sorella!»
Una lama di coltello la trafisse. Fece dietrofront e scese di corsa i gradini che aveva salito. L'ultima cosa che vide fu l'unico occhio verde di Giuly, sdraiata sul gradino più largo dove aveva fermato la sua caduta: la guardava stupita.
Nella corsa sentì un fiume caldo correrle giù lungo le gambe: oddio, se l'era fatta addosso?
In un attimo infilò la porta e andò a nascondersi nel giardino immerso nelle tenebre.
STAI LEGGENDO
SCALE
General FictionSiamo negli anni '60, in un quartiere di periferia di una cittadina di provincia destinato, in futuro, a diventare residenziale. In una strada che termina in un campo dove ancora non si è costruito, a due passi dalla scuola elementare del quartiere...