Un posto dove stare

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Da quando la nonna era andata a vivere con loro, Bianca divideva con Agnese la camera con un letto a una piazza e mezzo. Ad Agnese toccava la scrivania mentre Bianca, per fare i compiti, si sistemava al comodino con il piano ribaltabile, che lo faceva diventare un po' più grande.

Ora Agnese era in camera di Anna, che essendo la maggiore aveva una stanza tutta per sé. Passando davanti alla porta chiusa, Bianca sentì la sua voce. Filò in camera e si chiuse piano la porta alle spalle.

«Eccomi, Giuly! Mi aspettavi vero? Siamo sole!». Seduta sul letto, mise in piedi la sua bambola alta che le arrivava oltre la vita, tanto che le bastava chinarsi un poco per  guardarla in faccia quando ci parlava, tenendola in piedi davanti a sé. Le aveva dato il nome di una delle misteriose cugine americane.

«Sai che si fa? Voglio chiedere a Babbo Natale se mi porta qualche vestito nuovo per te», disse stirandole addosso il vestitino sfrangiato e un po' rotto, l'unico che le stava.

Era una vecchia bambola, scura di pelle, con i capelli crespi e un occhio che restava chiuso. Ma era grande quasi come una bambina vera. Le prendeva quella mano fredda e se la portava dietro per la casa, negli angoli dove di volta in volta si piazzava a giocare.

«Almeno avessi i capelli come te! I miei sembrano spaghetti...», le disse spazzolandola.

«No, ora non possiamo andare in negozio, è chiuso perché dobbiamo fare l'albero, te lo avevo detto che oggi arrivava! Ora ce ne stiamo qui in pace noi due a decidere cosa scrivere a Babbo Natale, finché Agnese e Anna non la smettono di chiacchierare. Lo so che pensi che dovrei chiamarle, ma lo sai come sono no? Se interrompo le loro chiacchiere mi ammazzano!», continuò.

Giuly le sorrise con l'unico occhio verde. Bianca si sistemò il maglione, un po' impacciata. Anche lei, da grande,  avrebbe camminato sui tacchi con le scarpe décolleté argentate come quelle di Anna per la festa dei suoi diciotto anni. Si mise a girellare per la stanza, scalza, in punta di piedi.

«Non hai compiti da fare oggi?». La voce di Agnese. Scese di colpo dalle punte, arrossendo. Sentì i suoi occhi azzurri trapassarla da dietro le spalle, come una lama.

Ogni tanto sua sorella veniva a controllarla mentre faceva i compiti. Lo aveva sempre fatto, fin da quando Bianca era in prima elementare.

La prima volta era stato un pomeriggio di ottobre, pochi giorni dopo che era iniziata la scuola. Avevano cominciato a colorare le casine sul sussidiario. Era stato ancora prima delle lettere colorate da mettere insieme per farci le parole.

«Vedi qui come sei stata sprecisa? Devi tenere la matita così, guarda». Le aveva preso la destra con una presa forte e l'aveva guidata sul foglio.«Devi mantenere la stessa inclinazione delle linee, se no fa schifo!»

Le erano spuntate le lacrime ma non aveva pianto. Aveva dovuto cancellare l'intero tetto della casa, perché proprio nell'ultimo angolo non aveva resistito e lo aveva riempito andando fuori dal contorno. Stare ferma a colorare le faceva diventare il polso duro come un sasso. Dopo un po' le gambe cominciavano a muoversi sotto il tavolo e le facevano fare un mucchio di errori.

«I compiti li ho già fatti! Vieni pure che noi andiamo di là, chiamami quando si fa l'albero», rispose adesso sfuggente, raccogliendo le scarpe con la destra e Giuly con la sinistra. Girò intorno al letto e uscì rapida, evitando di incontrare gli occhi azzurri di Agnese, mentre sentì una vampata di calore salirle fino alle orecchie.

«Sicuro? Guarda che la mamma si arrabbia con me poi! Devo ripassare latino per il compito di domani, poi si comincia!». Le parole la raggiunsero che era già nel corridoio. Non rispose nulla. Agnese era bravissima a scuola, non voleva essere disturbata quando studiava. Per l'albero c'era da aspettare ancora.

Svoltò l'angolo. Le stanze vuote avevano le porte aperte sul grande disimpegno in cima alle scale. Il suo spazio, deserto. Sentì la pancia rilassarsi.

«Vai Giuly! Mettiamoci al lavoro».

Campo libero ora. Potevano sistemare le merci sul banchetto e i cartelli che annunciavano i saldi lungo il muro in cima alle scale. Nessuno sarebbe venuto a disturbarle, almeno per un po'. Sistemò Giuly seduta in un angolo del pavimento. Lei era la cliente e Bianca la commessa del negozio, molto brava a sistemare i cartelli colorati «SCONTI», «SALDI», «FUORI TUTTO» come aveva visto nei negozi veri.

Si muoveva disinvolta, invitando le giovani clienti a provare braccialetti e sciarpe colorate appoggiate in bella vista sul marmo bianco.

«Vede, potrebbe prendere questa collana, le sta molto bene, davvero», disse a Giuly mettendole al collo una delle collanine che aveva trovato in un uovo di Pasqua e facendola ammirare in uno specchio che aveva recuperato in una borsa di sua madre.

Quando faceva buio e non poteva andare da Luisa, quello stanzone senza pareti col pavimento di marmo bianco striato di grigio diventava la sua camera dei giochi. Era illuminato da un lampadario rotondo di vetro bianco, come la luce che emanava. Insieme all'ingresso, sopra il quale si trovava in perfetta simmetria,  era il posto più freddo della casa, dove sembravano darsi appuntamento gli spifferi provenienti da un'enorme finestra che dava sul giardino, oltre che dal piano di sotto, lungo la tromba delle scale. In tutti quei metri quadri, solo un termosifone sotto la finestra. A delimitare lo spazio, le porte di due camere, il corridoio verso le altre stanze e,  su un lato, in larghezza, la ringhiera di ferro battuto che si ricongiungeva all'imbocco della scala.

«È arrivata l'ora delle prove», disse a un certo punto a Giuly, facendo una piroetta. «Tanto ora non c'è nessuno in negozio, no?»

Si spostò verso la scala e appoggiò la gamba sinistra con la punta tesa sulla ringhiera.

«Guarda Giuly, la punta è quasi rotonda!». Usava la ringhiera come sbarra da quando aveva cominciato a leggere «Priscilla», un grosso libro con una copertina azzurra piena di ballerine in tutù che aveva trovato in camera di Anna. Con la punta tesa e la gamba appoggiata sulla ringhiera si allungò in avanti, le dita delle mani a cerchio, come le ballerine nella copertina. Anche lei sarebbe diventata una ballerina da grande, non come Anna che dopo un po' aveva smesso.

«Sai quanto tempo provano le ballerine ogni giorno? Ci vuole moltissima fatica e volontà, e pochissime ce la fanno», le diceva suo padre, che era appassionato di balletto e una volta, l'inverno precedente, l'aveva perfino portata a vederne uno, in un teatro vero. Ce l'avrebbe fatta anche lei, da grande. E poi suo padre si sarebbe accorto di quanto era brava e l'avrebbe mandata in una scuola di danza. È che era sempre molto impegnato a lavoro, dopo il pisolino tornava allo studio e non era quasi mai a casa prima di sera.

«Ehi, che stai facendo? Guarda che ora vado a prendere gli addobbi per l'albero. Si comincia».

Agnese era comparsa all'improvviso dal corridoio. Bianca si rimise le pantofole e cancellò dalla faccia il suo sorriso da ballerina. Si avviò trotterellando verso la soffitta, dietro a sua sorella.

SCALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora