Non è vero

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«Ehi, stai attento, lo vedi che mi fai sbagliare?»

Bianca si accomodò meglio sulla sedia, spostandola un po' più vicina al banco. In classe c'era brusio, Paolo per andare dalla maestra l'aveva urtata. Lei aveva nella destra il filo di rafia rossa che doveva intrecciare intorno al cerchietto di cartone, a guisa di cornice, che reggeva con la sinistra.

Le sopracciglia aggrondate, le labbra strette e gli occhi seri, stava cercando di mantenere esattamente la stessa distanza tra un nodo e l'altro. Altrimenti sarebbero rimaste fessure bianche: Agnese l'avrebbe notato subito.

Doveva andare a far vedere il lavoro alla maestra: le mancava solo l'ultimo spicchio. Sentiva un fremito nelle gambe che ballettavano sotto il banco. Nella sua fila molti compagni, fra cui Luisa, avevano già in mano il barattolo della Coccoina per appiccicare il tondo della foto sotto la cornice. Era il regalo di Natale che i bambini avrebbero portato a casa l'indomani, ultimo giorno di scuola: la foto di classe di quel Natale di terza elementare nella cornice fatta a mano, incartata in una bustina trasparente e spillata, per non farla sciupare.

La sua Giuly avrebbe avuto i suoi vestiti, pensò cercando di rilassare il polso indurito. Lo appoggiò un momento sul bordo del banco: solo allora si accorse di quanto la spalla si era irrigidita. Babbo Natale sarebbe arrivato presto, pensò. E non importava se a casa non le avrebbero detto «Che bella la cornice! Vieni, la attacchiamo qui, che dici?», come a casa di Luisa dove il tinello era pieno dei lavori fatti dai bambini a scuola. Sarebbe finita dimenticata per qualche giorno sul mobile in salotto, come al solito. Lì sopra c'erano oggetti d'argento e non ci stavano bene quelle cose, però; la cucina era piccola, le dicevano a casa. Dopo qualche giorno, sua madre l'avrebbe riposta nel cassetto del comodino in camera sua.

A casa erano già arrivati dei regali, come ogni Natale. Non quelli di Babbo Natale però. Mancavano ancora tre giorni e già sotto l'albero c'erano due ceste, una con una bottiglia di Cinzano e della frutta secca in un cestino di vimini bianco. Nell'altra, una scatola di latta decorata sulle sfumature dell'azzurro piena di dolcetti di cioccolata faceva pendant con una confezione di ricciarelli. Non le piacevano i ricciarelli. E poi quelli non erano i regali veri, ma solo i doni che la gente portava a suo padre medico.

Si accomodò il grembiule tutto spiegazzato fin sotto le ginocchia; le spuntavano solo i calzettoni a righe e le scarpe con la suola di para e le stringhe nere.

Quel lunedì mattina si erano svegliati sotto un cielo plumbeo e compatto, dove la luce faceva fatica a passare creando qualche striatura chiara. Appena sveglia, quella strana luce l'aveva confusa. Era il primo giorno della settimana di mattina, il giorno della confusione.

Una meraviglia però, si era detta. Andare a scuola la mattina come tutti gli altri, invece che alle due quando tutti se ne stavano a casa. E per di più, le ultime due mattine prima delle vacanze! Un lunedì radioso, anche sotto quel cielo.

Quando la nonna le aveva fatto mettere quelle scarpe che la facevano sembrare tutta piedi, si era immaginata percorrere il pezzetto di strada che la separava dalla scuola e, tac, come per magia scoprire il giardino  tutto bianco e il pioppo davanti alla finestra della sua aula piegato dal peso della neve sui rami. Avrebbero fatto un omino di neve, aveva pensato prima di aprire la porta di casa e vedere nella luce plumbea il giardino tutto bagnato. Chissà, avrebbe potuto cominciare a nevicare mentre era a scuola, si era detta trascinando le scarpe pesanti sul ghiaino. 

Adesso, la lingua tra le labbra, stava aggiustando con le dita l'ultimo nodo rosso che si era sovrapposto a quello accanto, facendo un brutto effetto. Troppo stretti.

«Sì, perché te credi ancora a queste favole?», la voce di Maurizio le sfiorò l'orecchio come il frullo d'ali di un uccello. Si immobilizzò, la cornicetta in mano.

«Macché, scherzi? Non sono mica un bimbetto di prima io!». Alle sue spalle, la risposta di Giuseppe. Non è vero, parleranno d'altro.

«Li ho visti io prendere la letterina di Babbo Natale che avevo lasciato sotto la porta ieri sera. Li ho spiati, credevano fossi già a letto ma non dormo, io. Ho aspettato che spegnessero le luci e poi mi sono spalmato sul muro».

«Ma sul serio? Hai proprio visto che erano loro?»
«Mia madre, era lei. In punta di piedi, in camicia da notte e senza accendere la luce è andata nel corridoio. L'ho seguita e l'ho vista. Poi sono scappato in camera».

Bianca sentì che il respiro era come sospeso, guardava davanti a sé ma non vedeva nulla.

«Avanti Bianca, hai finito? Guarda che sei l'ultima! Fammi vedere». La voce della maestra.

Si alzò ma non riuscì a muoversi, aveva le gambe pesanti e la pancia dura come un sasso. Evitò gli occhi della maestra. Si sentì improvvisamente le mani gelate, come se le avesse tolte dal frigorifero.

«Sì ma tanto che me ne frega, io mica ci credevo eh. Non sono mica stupido, lo sapevo già».

«E ora? Che fai a Natale, glielo dici? O fai il bravo bambino?»

Bianca tornò al suo posto. Era stata a guardare la bocca della maestra, da cui uscivano le parole, ma aveva le orecchie piene del frastuono come di una frana che rotolasse giù dentro il suo corpo, giù giù giù, sempre più in basso. Si sentiva risucchiata, come se una forza la attirasse dentro un buco nero.

«Il lavoro va bene, anche se non è proprio preciso. Vedrai come sarà contenta la mamma!» le aveva detto la maestra sorridendo.

Ora, seduta al banco, lei prese quel sorriso e provò a scendere laggiù dove c'era stato quel crollo. Quelli erano due maschi, prima di tutto. Luisa non avrebbe mai detto nulla del genere. E poi a casa sua non dicevano bugie. Chi dice le bugie va all'inferno, diceva sempre nonna Olga. Sentì qualche pezzo rotto rimettersi al suo posto, laggiù in basso. Il respiro ricominciò a fluire. I maschi devono sempre fare i grandi, come se sapessero qualcosa. Maurizio aveva anche preso una nota rossa, qualche giorno prima: non aveva fatto i compiti a casa. Di certo lui non poteva sapere le cose. Suo padre sì che le sapeva. Non gliele avrebbe dette le bugie a lei. Era sicurissima.

Mentre si accomodava meglio sulla sedia e sentiva il sangue che ritornava a scaldare le mani e le orecchie,  sentì come una piccola pena, una specie di puntura di spina in pieno petto. No, non ne avrebbe parlato a Luisa, perché non era vero. Se no lei glielo avrebbe detto. Anche lei aveva scritto la lettera a Babbo Natale, gli aveva chiesto fra l'altro una cuccia nuova per Buck, di quelle fatte a casetta da mettere in giardino. Bellissima.

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