Il telefono

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«Andiamo che sei sempre l'ultima a finire! Lo vedi che tieni in mano quella forchetta da mezz'ora?»

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«Andiamo che sei sempre l'ultima a finire! Lo vedi che tieni in mano quella forchetta da mezz'ora?»

La voce di sua madre le fece fare un balzo sulla sedia. Tutte si girarono verso di lei: Agnese, Anna, la nonna.

Bianca stava masticando svogliatamente la sua fettina di carne, con gli occhi fuori della finestra, persi nel pulviscolo che in quel momento creava il sole, comparso all'improvviso in uno squarcio di azzurro intenso nel cielo grigio di quella mattina.

«Devi mangiare la carne se no resti piccola! Guarda che altezza è mezza bellezza!» aggiunse sua nonna. Lei piccola lo era e ci sarebbe rimasta, ne era convinta. Suo padre era di statura piccola, sua madre non troppo più alta. Ma quello era il motto di nonna Olga, piccola anche lei.

«Sai come sarei diventata alta se avessi avuto tutto questo ben di Dio! Mica come quando andavo a cercare le foglie di cavolo lungo i fossi per farci una minestra per loro e a tuo nonno facevo il caffè con le ghiande», soggiunse con gli occhi socchiusi e seri, da dietro gli occhiali cerchiati di nero.  Con gli angoli della bocca che guardavano in giù, accennò verso suo figlio. Quando faceva così, guai a contraddirla. E poi a tavola non potevi  dire di no.

«Senti, questo lo mangi te che a me proprio non mi va?» sussurrò Bianca al padre. Il suo posto a tavola era vicino a lui, all'angolo. Era una grande tavola di legno di foggia antica, in stile rinascimento, che poggiava su massicce zampe a forma di testa di serpente. A lei toccava la sedia a cavallo della zampa. Era la più piccola e ci stava meno scomoda degli altri, le rispondevano quando diceva che era stufa e voleva stare in mezzo.

«Va bene, ma solo per questa volta...» rispose suo padre a bassa voce, con dolcezza. Lei guardò gli occhi verdi e la fossetta in mezzo al mento di lui che si apriva quando sorrideva e buttò giù intero il pezzo di carne masticata, ormai secco e amaro, senza che le si chiudesse la gola.

Sua madre le lanciò uno sguardo severo, mentre Agnese cominciava a togliere i piatti dalla tavola. Nonna Olga, ancora seduta al suo posto, parlava con la mamma di certe vitamine americane che sembravano favorire la crescita.

«Possiamo chiedere ad Angela di mandarcene un po', così le diamo alla bimba».

La zia Angela, sorella maggiore di suo padre Antonio, se n'era andata in America con un soldato che aveva conosciuto in tempo di guerra. Viveva a Dallas e veniva pochissimo, Bianca non si ricordava di averla mai vista; ma la immaginava in una di quelle case che si vedevano nei film in TV: affacciate su una distesa di terra, lei seduta sul dondolo sotto la veranda tutta di legno, accanto a lui che beveva una birra gelata appena stappata mentre guardavano la pianura sotto le stelle.

Ogni tanto la zia scriveva una lettera. Quando ne arrivava una, Bianca andava in braccio a suo padre per toccare quella carta finissima. Voleva aprirla lei la busta con su scritto «By air mail», con il contorno a righe rosse e blu. I fogli quasi trasparenti erano pieni di una grafia fitta fitta, ondulata. A volte, dentro la busta metteva le foto tessera delle figlie.

Proprio quella domenica, prima di pranzo, il babbo aveva letto ad alta voce a tutta la famiglia l'ultima lettera arrivata di fresco. Era la lettera di Natale.

Zia Angela chiedeva notizie di tutti, dalla mamma - nonna Olga, che viveva insieme a loro - ai nipoti, uno per uno. Bianca aspettava che si parlasse di lei dondolandosi sulle ginocchia di suo padre.

«...e la piccola? Come sta? È cresciuta?», non l'aveva soddisfatta. Era arrossita in una fiammata che le aveva bruciato le orecchie e si  era domandata quando avrebbe smesso di essere «la piccola».

Forse presto, con quelle enormi pasticche americane?

Intanto suo padre aveva mandato giù il suo pezzetto di grasso senza fare una piega.

«Il telefono! Chi sarà a quest'ora? Vai tu Bianca! Se cercano babbo dì che non c'è e non sai dov'è!» fece sua madre.

«Ma scusa, dove dico che è andato?? Così la gente pensa che sia scema però!» rispose stizzita, alzandosi. Avrebbe voluto rimanere seduta. Attraversò il salotto trascinando i piedi e sbuffando, mentre il telefono continuava a squillare. Avrebbe detto «Sì, un attimo che glielo passo», pensò tra sé e sé. Non avrebbe detto una bugia, le dicevano tutti che non si doveva fare. E poi forse era qualcuno che stava male. Forse un bambino. Suo padre era medico pediatra.

«Non c'è, è uscito! Non lo so, mi dispiace» si udì dire. Attaccò la cornetta grigia sbattendola sull'apparecchio e si mise a contemplare l'albero spoglio. Il telefono era proprio lì, nell'ingresso, sopra un tavolino che veniva spostato per far posto all'albero. Fino a Befana stava appoggiato su una sedia. Anna e Agnese spesso stavano lì accucciate a parlare, la sera, al buio, sussurrando perché nessuno le sentisse mentre il resto della famiglia stava in salotto a vedere la TV.  Se lei si affacciava le facevano gesti con le mani e facce minacciose. Però a rispondere bugie ci mandavano lei. Tanto era piccola.

«Tuo padre è stanco, si deve riposare, non può rispondere sempre al telefono. E poi oggi è domenica» le disse la nonna mentre si avviava su per la scala, diretta in camera sua.

«Ma perché non lo stacca allora? E poi perché sempre io? Mi tocca dire una bugia, lo so benissimo dov'è! Però se dico le bugie te mi dici che vado all'inferno...» rispose Bianca. 

La nonna non disse nulla, inerpicandosi lentamente su per la scala, lo sguardo fisso davanti a sé. Lei si accoccolò sul primo gradino accanto all'albero spoglio, tirandosi il maglione sotto il sedere. Uno spiffero passava da sotto la porta di casa. Tra poco tutti  se ne sarebbero andati nelle loro stanze e lei avrebbe potuto andare da Luisa senza dare troppo nell'occhio. Bastava non far chiasso nel momento in cui suo padre faceva il pisolino: la mamma ce la mandava di sicuro da Luisa. Tanto lì non disturbava mai. E poi a casa di Luisa c'era un nuovo arrivato: doveva assolutamente andare a vederlo. Giusto il tempo del pisolino, tanto per un'ora non si poteva fare nulla lì. 

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