Non sarebbe tornata dentro. No di certo. Si sentiva pungere tra le gambe, ma almeno all'aria fredda la puzza non si sentiva. Avrebbe voluto prendere a calci l'albero, il presepe, i regali, pensava cercando di asciugarsi le gambe col maglione. Tutti finti e bugiardi. Anche la nonna. Il respiro usciva a fatica sotto forma di nuvole di fumo bianco e ogni volta era una come un pugno nello stomaco. Si strinse le ginocchia bagnate sotto il maglione, seduta sul gradino.
Sentiva nella pancia come un frangersi di onde sugli scogli: a ogni flusso la pancia si strizzava e le faceva male. A ogni riflusso vedeva rotolare giù per un dirupo l'albero, i regali, le cornicette, i personaggi del presepe: lei era lì che li guardava dissolversi con un ghigno che le stravolgeva la faccia. Ecco, anche Anna e Agnese precipitavano nel buco nero con le facce piangenti. Lei non era la loro sorella, no? ma allora perché la mamma le aveva detto di essersi data le botte nella pancia quando aveva saputo di essere incinta un'altra volta? La testa le ronzava sempre di più, la schiena era percorsa da scosse che le interrompevano il respiro. In bocca il sapore salato delle lacrime si mischiava all'odore penetrante dell'urina, che arrivava dentro sbuffi di aria fredda.
Si alzò lasciando sul gradino una chiazza umida e cominciò a camminare nell'oscurità. Non aveva paura. Domani lo avrebbe detto a Luisa. All'improvviso le si accesero negli occhi le luci del giardino di Luisa e comparvero Buck, l'oleandro illuminato, le facce sorridenti di Carla e Aldo. Possibile? Anche loro dicevano bugie? Sentì di nuovo che le gambe cedevano e la pancia si contrasse così forte che la piegò in due. Si rimise a sedere. E poi cosa ne sapeva Luisa? No, lei doveva sapere la verità. Perché non glielo aveva detto? Era proprio una stupida, Luisa di sicuro pensava che anche lei lo sapesse. Sì, scrivere la letterina era la cosa che facevano i bambini per far contenti i genitori, perché a Natale i bambini devono essere tutti buoni. Le venne la nausea.
Vide la facce dei diavoli con le fiamme che uscivano dalla bocca. Una volta il babbo gli aveva fatto vedere un libro illustrato con dentro le immagini dell'inferno: gliene venne in mente una, in particolare, dove in un cielo tutto nero, senza stelle, i diavoli con gli occhi rossi e le facce ghignanti se la spassavano, mentre uomini e donne nudi, bruciati da lingue di fuoco, gridavano il loro dolore con le facce stravolte e gli occhi storti e nessuno li ascoltava. Erano i dannati e nessuno li aiutava, perché nessuno ascolta più quando si va all'inferno, le aveva detto la nonna. Un posto da dove non si torna. Il pensiero la placò per un momento, facendole riprendere forza.
È lì che sarebbero andati tutti. Questo succede a chi dice bugie, no? La nonna, la mamma, Anna, Agnese. Anche il babbo? Questo non lo vedeva, la sua faccia non compariva tra quelle stralunate e piangenti che precipitavano nell'abisso di fiamma. Anche lui però le aveva detto di fare la brava per non fare arrabbiare Babbo Natale. Forse era costretto, pensò. Sì, forse la nonna lo obbligava e lui lo faceva solo perché lei era vecchia.
Sarebbe cresciuta da sola. Un grande fuoco se li era presi tutti. Solo lei era scampata alla tragedia. Sentì il respiro riaffacciarsi come un'onda che arriva da molto lontano. Forse sarebbe andata da Luisa, Aldo e Carla non l'avrebbero abbandonata. E poi da grande sarebbe andata a vivere in una città lontana dove nessuno la conosceva.
Dette un calcio a un pezzo di legno che incontrò sui suoi passi. Solo allora si accorse di essere scalza, con i calzettoni ormai fradici e i pantaloni della tuta appiccicati alle gambe. I piedi gelati cominciavano a farle male, le labbra erano riarse dal pianto e dal moccio, le gote le bruciavano. Doveva per forza mettersi qualcosa di asciutto.
Si avvicinò furtiva alla porta d'ingresso. Luce spenta, traspariva solo l'intermittenza dell'albero. Sgattaiolò dentro la porta che era rimasta socchiusa. Nessuno se ne era accorto.
«A tavola, è pronta cena!», la voce di sua madre risuonò dalla cucina.
Riuscì a infilarsi nel bagno, dove tentò maldestramente di ripulirsi alla meglio. Niente da mettersi però. Doveva per forza scappare su.
Appena uscita si trovò davanti la mamma.
«Dove ti eri cacciata? Ti stavo cercando...» Lei abbassò gli occhi. La mamma la guardò e la vide subito la macchia scura sui pantaloni chiari.
«Ma che hai fatto? Sei grande eh!», le disse con occhi severi. Bianca sentì il sapore salato delle lacrime brucianti che le scorrevano sul viso.
Tenne gli occhi fissi sul pavimento grigio.
«Babbo Natale non esiste vero?» si udì dire con voce roca.
«È così importante saperlo? Tu sei piccola, non ci devi pensare», le rispose sua madre, avviandosi verso la cucina. Era una donna pratica, non aveva tempo da perdere.
«Ma scusa, allora non è importante neppure sapere se sei davvero la mia mamma?».
Le parole uscirono così, senza volerlo. Sua madre si girò e la guardò, scuotendo la testa. Con il dorso della mano le sfiorò la gota.
«Vai a cambiarti, dai, che arrivi tardi per cena».
Lei salì di nuovo le scale, stavolta più lentamente.
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SCALE
General FictionSiamo negli anni '60, in un quartiere di periferia di una cittadina di provincia destinato, in futuro, a diventare residenziale. In una strada che termina in un campo dove ancora non si è costruito, a due passi dalla scuola elementare del quartiere...