Capitolo V - Una montagna innevata

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Erano le 4, mi ero svegliata e non mi ero più riaddormentata. Volevo solo dimenticatarmi della sera prima, ma non ci riuscivo. Avevo solo un gran mal di testa, come se qualcuno mi urlasse continuamente nelle orecchie.
Aspettavo ansiosamente che Jamie arrivasse a casa da me. Ma erano ancora le cinque di mattina e mi aveva detto che sarebbe venuto verso le otto.
Passai quelle due ore a guardare uno di quei film smielati degli anni '50, dove lui , bellissimo, e lei, bellissima, si sposano e vivono felici e contenti con tre figli, e con una coppa di gelato al cioccolato che era praticamente finito.
Quando finalmente suonò il campanello ero talmente su di giri e di corsa, che sbattei il mignolo all'angolo della porta e diventai rossa dal dolore. Ma presi lo stesso coraggio ed andai ad aprire, ma poi guardai l'orologio e vidi che erano ancora le sette, e rimasi un po' strana da quell'orario ma aprii comunque la porta.
M non era Jamie.
Era Jace.
"Pretendo spiegazioni." Disse lui, parlando con la voce di chi ha appena corso una maratona.
"Cosa?" risposi sbigottita.
"Mi hai chiamato cinque volte stamattina! Ecco cosa! Sono corso appena ho potuto!"
Era impossibile. Non avevo neanche preso il telefono, o era una scusa o avevo mandato per sbaglio la telefonata.
"Oddio, mi sarà partita la telefonata, scusa ma ieri sera è successo un casino ed evidentemente ho lasciato la linea accesa, non so."
"Tutto ok? Sento odore di fumo sai? "
"Ehm no è impossibile... ceh che fai aspetta! "
Mi prese dolcemente la fronte e mi odorò prima il collo, poi le mani.
"Tu hai fumato, ma questo non è odore di tabacco."
"SI OK MI SONO FATTA UNA CANNA E ALLORA? Non sono problemi tuoi.."
"Calmati per favore, e dimmi quello che è successo"
"Va bene, entra"

Cinque minuti dopo...

"Oddio, quando torna?"
"Spero presto, non ce la faccio più, è dalle quattro che sono sveglia, e sono andata a dormire che era l'una ieri sera."
"Ti faccio un caffè"
"Si ti prego"

"È bello questo posto sai?"
"Se lo dici tu"
"Gli hai fatti tu quelli?"
"Si"
"Sono bellissimi"
"Grazie, ma è da un po' che non faccio nulla"
"Peccato hai un grande talento"
"..E tu?"
"Io cosa?"
"Sai troppe cose di me, ora è il tuo turno"
"Che vuoi sapere? Non c'è molto"
"Quello che vuoi"
"L'unica cosa che mi riesce bene è scrivere"
"Anche a me, quando parlo sparo cazzate"
"Oh lo avevo capito, il caffè è pronto"
Mi portò una bella tazza di caffè fumante, con del latte e panna, era la cosa più buona che avessi mai mangiato, anche se era fatta con materiale scadente.
Si sedette accanto a me, e mentre sorseggiavo quella tazza bollente, avevo capito che mi stava fissando.
"Che guardi?"
"Eh ? cosa? " Rispose come se fosse appena stato svegliato da un ipnosi.
"Che ne so sembravi imbambolato"
"Pensavo" disse riprendendo il controllo, notai che le mani si chiusero in pugni e diventarono rosse, ma anche se mi metteva in soggezione andai oltre.
"A cosa? "
"Alle nostre differenze. Tu non te ne rendi conto ma io si, sei così piccola eppure fai da madre e svogli un lavoro che non ti piace. Vorresti viaggare, scappare via da tutto e tutti ma non puoi farlo perché c'è tuo fratello che non può farcela senza di te visto che i tuoi non ci stanno. E soffri perché gli vuoi dare una vita migliore ma non puoi perché se tu potessi fare ciò che ti piace fare, allora lui non rientrebbe nei tuoi piani e questo ti fa soffire." Iniziò a diventare rosso, e i pugni diventarono strettissimi.
"Sembra che tu non stia parlando di me."
"Purtroppo le nostre vite sembrano così diverse, ma i nostri problemi sono uguali." Rispose quasi singhiozzando, come se avesse un nodo alla gola.
"Quando è successo? "
"Cosa?"
"I tuoi genitori"
"L'anno scorso, verso la fine dell'estate. Stavamo in macchina tutti e quattro, torvavamo da un campeggio, ma qualcuno ha deciso di passare con il rosso.
"Mi spiace, davvero"
"E i tuoi?"
"Mio padre se né andato quando io ero piccola, mia madre è come se non ci fosse"
Ormai stavamo tutti e due con i gomiti appoggiati sul tavolo, i nostri occhi si distanziavano di qualche centimetro. Potevo vedere le sue pupille dilatate e quelle magiche sfumature di grigio nei suoi occhi blu. Erano la cosa più bella che avevo mai visto, perché da lontano pensavo fossero azzurri, ma mi ero accorta che invece avevano all'interno queste sfumature grigie che si alternavano al blu mare e che creavano un effetto di montagna innevata.
"Mia zia mi sta aiutando molto, ma onestamente non so fino a quanto possa fare, sono stato sospeso da tre scuole in quest'ultimo anno."
"Io non sono mai andata bene a scuola, mentre i professori spiegavano io o scrivevo sullo spartito o facevo qualche scarabocchio sul banco. "
"Amo i tuoi quadri, sembra che ci sia una connessione fra loro" disse alazando la testa dal tavolo e guardandone uno in particolare.
"Quello è il mio preferito" Inildicandone uno in fondo alla parete"
"Ah si, è inspirato al naturalismo di William Turner e Caspar David Friedrich. Lo feci quando studiavo in Inghilterra"
"Quando sei andata? "
"L'anno scorso, era uno stage estivo e lo organizzava la scuola"
"E quest'altro?"
"Questo è più moderno, pennellate sfuse, colore chiaro e scuro a contrasto, è la guerra"
"È perfetto"

Suonò il campanello.
Mi alzai di fretta ed andai subito ad aprire.
"JAMIE!" mi misi a piagere e dei gemiti uscirono dalla mia bocca.
Ero troppo felice di vederlo e di sapere che stava bene, lo baciai su tutte e due le guance e gli tirai qualche capello.
"Senta io sono in ritardo, parleremo la prossima volta, le verrò io a fare visita domani oer parlare dell'accaduto."
"Certo."
Chiusi la porta e feci entrare Jamie in casa.
"Chi sei?"
"Un amico di tua sorella" rispose Jace. Non era mia amico, pensai, è venuto qua solo per ricevere attenzione.
"Jamie, ora siediti e parliamo, esigo una spiegazione. "
"Quando ho letto il tuo messaggio, ovvero che non saresti tornata a casa stasera, stavo tornando a casa ma non avevo voglia di stare nuovamente da solo, così sono sceso dal pullman, ho preso la metro e sono andato a casa della signora Stewart."
"Oh Jamie, perché mi fai questo! Sono stata malissimo quando sono tornata e tu non c'eri! Stavo chiamando la polizia!" Dissi in lacrime e poi lo abbracciai.
"Non lo farò mai più promesso."
"Vai in camera e fatti una doccia adesso, ne parliamo dopo"
Lo vidi filare in camera e mi voltai verso Jace che aveva assistito a tutta la scena.
"Scusa per questa scenata, non lo avevo previsto"
"Nono, anzi, è ammirevole il bene che gli vuoi"
"Oh grazie"
"Comunque oggi puoi anche non venire a lavoro, dormi tutto il giorno, ne hai bisogno. "
"Già, grazie dell'aiuto"
"Ti avevo detto che bastava una telefonata."
Lo accompagnai alla porta e lo salutai, poi andai in stanza e mi coricai. Il sonno e la stanchezza si fecero sentire e le mie palpebre calarono giù piano piano, le gambe si accovacciarono e le mani si misero sotto la nuca.
Mi addormentatai subito e finalmente riuscii a rilassarmi.


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