Uno sguardo

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I loro sguardi si erano incrociati una sola volta. Un attimo, in cui le iridi entravano in contatto, le pupille si dilatavano focalizzando la vista, i respiri acceleravano mischiandosi con l'aria, i battiti aumentavano pompando più velocemente. Successivamente si erano separati. Lui era salito sul treno, lei aveva voltato l'angolo. Eppure, non si sarebbero mai dimenticati di quell'intenso, magnetico contatto visivo e delle sensazioni che aveva loro lasciato, come un marchio indelebile, una prova che era tutto reale.

Caro diario, no meglio cancellare.
Ehy diario, come va? Parlo con gli oggetti, fantastico!
Oggi, durante il tragitto di ritorno, stavo ascoltando una delle mie canzoni preferite, quelle molto ritmate di cui non comprendi una sola parola ma che ti trasmettono una carica assurda, quando l'ho visto. Indossavo un semplice maglione grigio, lungo fino alle cosce, il che di solito mi fa sentire protetta, al sicuro, ma in quel momento mi sono sentita nuda, come spogliata da un paio di occhi indecifrabili. Ho abbassato lo sguardo sui miei abiti, per sincerarmi di essere realmente coperta e avendo appurato che lo ero mi sono data della stupida mentalmente, almeno una decina di volta. Quando ho rialzato la testa, lui era svanito. O meglio, il treno era partito, e con esso la mia attenzione. I miei pensieri l'hanno seguito, la mia mente è rimasta vigile per tutto il resto della via; poi sono arrivata a casa, e lì ho viaggiato su quel treno per il resto del pomeriggio.

Il giorno dopo.

Quando sono arrivata a scuola l'aula era ancora vuota, i banchi composti e il silenzio presente mi hanno garantito una tranquillità che aspiravo da giorni, una pace che ambivo da troppo tempo; è durata poco. Sono arrivati gli altri, i miei compagni, e la calma ha ceduto il posto al chiasso, allo schiamazzo di urla e voci stridule. I rumori assordanti non si sono placati nemmeno con l'arrivo dell'insegnante, il quale ha dovuto richiamare l'attenzione un paio di volte prima di essere considerato. Ho odiato tutti, in quel momento. I miei compagni per il fastidio che mi provocava la loro gioia nel riabbracciarsi e l'entusiasmo di raccontarsi nuovi aneddoti, il professore per essere un tale incapace nell'affermare l'ordine e farsi rispettare adeguatamente. Poi la lezione è cominciata. Mi è venuto in mente lui, con i suoi ricci corvini, il cappotto nero, gli occhi non identificati. Non sono riuscita ad intercettare il colore delle iridi, ma scommetto che erano scuri anch'essi, così come l'aria che emanava, una piccola nube grigia da cui ti senti risucchiare. L'ho guardato per un lungo attimo, forse il più lungo della mia vita, l'unico secondo che vorrei ripetere per il resto del tempo. Non l'ho visto voltarsi, salire sulla carrozza, aggrapparsi al manico e sistemarsi lo zaino in spalla, ma l'ho immaginato. Così come immagino le varie sfumature dei suoi incredibili occhi.

La settimana successiva.

Hai presente quando l'unico scopo della vita è quello di farti sentire debole, inferiore, impotente? Ecco, questo è il mio o, per meglio dire, quello della mia vita; il perché, resta un mistero. Ho preferito continuare a leggere sul mio morbido letto piuttosto che alzarmi per andare ad aiutare mio fratello con la spesa, non immaginavo certo di compiere un simile delitto. Questa mattina mi ero svegliata particolarmente negativa, la testa persa tra i miei turbamenti, l'anima piegata dalle critiche quotidiane più intense del solito, così ho preferito non rispondere a quel richiamo d'aiuto. Ogni giorno io ne la lancio uno e nessuno abbocca, quindi perché offrire qualcosa che non viene mai ricambiato? Ho pensato che ci sarebbe riuscito da solo, arrangiandosi e facendosi forza una volta nella vita, ma qualcuno non lo considerava allo stesso modo. Le parole che hanno seguito il mio gesto sono state crudeli, spietate, con l'unico fine di ferirmi e, forse, ci sono riuscite, o magari sono talmente abituata che non so più cosa significhi soffrire per degli insulti rivolti dalla madre, verso la figlia. "Fai schifo, non sei un ospite in questa casa, puoi anche alzare il tuo culo e fare qualcosa di utile. Stronza. Sei una stronza. Ecco cos'è: sei solo una stronza. Che schifo, proprio che schifo." Non me la sono presa particolarmente. Inizialmente rispondevo, facendo la vittima e suscitando pietà o mostrando quanto quelle parole non fossero carine nei miei confronti, dato che non potevo nemmeno difendermi in alcun modo, non essendo autorizzata a dire parolacce agli adulti. Comprendendo che non sarebbe mai finita del tutto, ho cominciato ad ignorarla, prima una parola poi tutta una frase, fino a lasciarmela alle spalle come le offese interiori che mi dedicavo da sola, aumentando il carico. Ci ho riflettuto un po' su, e mi sono chiesta se anche a lui venivano indirizzate tali espressioni, così colme di amore e per nulla maligne, aggressive. Mi sono domandata come si comportasse in quel caso, quando qualcuno lo insultava, criticava, offendeva; quando viveva un qualsiasi giorno della mia vita. Non avendo risposte ho ipotizzato varie maniere, tutte differenti tra loro, ma il fatto che non avrei mai potuto conoscere la verità mi ha portato a scartarne una dietro l'altra, giungendo ad una conclusione: nessuno lo insulta, critica, offende; lui non vive la mia vita. Così, mister mistero, cosa si prova ad avere la coscienza pulita? Come ci si sente nel non essere costantemente giudicato, analizzato, respinto da se stesso? Come passi il tuo tempo se non hai bisogno di formulare scuse, frasi, accenni alla libertà?  Dev'essere bello non subire le urla, grida giornaliere ad un palmo dal naso, solo per il modo in cui respiri, in cui ti poni, in cui sopravvivi. Immagino che i tuoi splendidi occhi non sarebbero capaci di guardare i volti carichi di scherno, disappunto, umiliazione, suppongo che le tue orecchie non vorrebbero mai credere a tali cattiverie, udire il modo in cui sparlano di te, seduti attorno a un tavolo da pranzo, nella stanza accanto alla tua. Non so se lo sopporteresti. Spero tu non debba mai provarci, ma sei troppo astratto per vivere la mia realtà. Sei troppo immacolato per sporcarti di quest'aria viziata, dei giudizi insolenti, dei miei incubi peccaminosi. Vorrei rivederti un'ultima volta, solo per bearmi di una visione pulita e fresca, in contrasto con la macchia sul mio cuore, con il mio sudicio animo sofferto.

Un mese dopo

Un mese, quattro settimane, trenta giorni, settecentoventi ore. Può sembrare un'infinità di tempo, eppure sembra sia stato solo ieri. Blu cobalto, grigio perla, nero carbone? Non ne ho idea, so solo che quelle iridi mi perseguitano, di notte sento i suoi occhi fissarmi, di giorno mi sento accecata dal suo sguardo. La situazione non è migliorata, per la maggior parte del tempo mi sono ritrovata a fissare il muro, seduta sul mio letto dalle lenzuola sfatte e, quando mi accorgevo di essere rimasta impalata come una statua inquietante, mi maledicevo mentalmente, ed i miei pensieri ricadevano sempre nello stesso punto. Un po' come il mio sguardo. Un po' come il suo. Verde zaffiro? Chi può dirlo? Io no di certo. Non sono riuscita a captare le varie sfumature, ma so per certo che la luce che emanavano avrebbe illuminato il più profondo degli oceani. Castano nocciola, o più tendente al cioccolato? Mi farei volentieri una cioccolata calda, così da riscaldare, almeno una piccola parte, di quel gelo che provo ogni volta che metto piede fuori dalla mia stanza, ogni volta che la sua immagine compare nella mia mente, ogni volta che qualcuno mi parla, interrompendo i ricordi. Le voci non mi giungevano più, le loro occhiate non mi turbavano, i loro giudizi mi scivolavano addosso. Quando il mondo sembrava rivoltarsi contro di me, per l'ennesima volta, il pensiero di te, seduto su una panchina ad accarezzarmi i capelli, mentre attentamente ascoltavi i miei drammatici discorsi dello strazio in cui stavo, mi faceva sentire protetta, come un'impermeabile su cui le gocce non creano più alcun effetto, non ti toccano, scivolano via. Ce l'ho messa tutta, mister mistero, ho provato qualsiasi cosa per far si che l'orrore che subivo cessasse, per impedire che qualcos'altro, di più maligno ed oscuro, mi risucchiasse, ma non essendo in grado di immaginare i tuoi teneri occhi rassicurarmi, le mie certezze crollavano, così come il mio umore, così la mia speranza. È possibile sentirsi disorientati costantemente, non riuscire a mettere a fuoco la via, lo scopo? Si può essere tanto insicuri sul proprio destino, sulle scelte da compiere, preferire quelle altrui piuttosto che le proprie? Perché è questo che faccio, da quando sono stata catapultata in questa realtà che chiamano vita, ho aspettato che gli altri prendessero le decisioni al posto mio, così che io non avessi più nessuno compito che potesse attirare attenzione, e quando ciò non è capitato, be'.. mi sono persa. Non riesco a trovare la strada di casa. Forse perché una casa, io, non ce l'ho. E tu, mio bellissimo principe dagli indecifrabili occhi, tu, una casa, ce l'hai? Mi piacerebbe molto vederla, sai? Metterei la mia timidezza da parte, se me lo concedessi. Attraverserei il corridoio, osserverei la tua stanza, sprofondando sul letto morbido e annusando le coperte, sentirei il tuo odore, la tua linfa vitale: ciò che ti tiene in vita, ciò che tiene in vita me. Ma forse non mi lasceresti nemmeno entrare, no? Io sono troppo sbagliata, rischierei di macchiare il tuo piccolo angolo di paradiso, rischierei di sporcarlo. Puoi tenermi la porta, mio cavaliere? Mi faresti questo immenso favore? Mi basterebbe percepire i tuoi passi dietro i miei, il tuo profumo quando mi passi accanto, mostrandomi il resto delle camere. Mi faresti accomodare in cucina, mi offriresti una fetta di torta o magari qualche biscotto, mi accontenterei anche di semplice pacco di patatine industriali. Così, distesi sul divano, a parlare del più del meno con un film comico in sottofondo, ti guarderei in quei temibili occhi, dove sprofonderei senza paura di affogare, e mi lascerei cullare dalle onde del mare. Riderei di una battuta, un sorriso sincero sulla bocca di entrambi e poi, chissà, sarebbe potuto diventarne uno solo, l'unione di due labbra, di due anime. Ma tu, mio principe, non mi conosci, non hai idea di chi io sia e, sebbene questo sia terribilmente triste, mi rincuora sapere che mai lo saprai, mai mi parlerai e mai più mi vedrai. Mai mi bacerai. Ma io bacerei all'infinto quelle tue disarmanti iridi indefinite. E piango, perché so che non potrò mai farlo, non potrò mai più vederle, non potrò mai sapere quale colore si cela nel tuo sguardo.

Queste parole rappresentano sprazzi di un diario, "il diario della ragazza incompresa". Lei, dopo aver incrociato per una frazione di secondo lo sguardo di un ragazzo misterioso, non è più riuscita a scacciarlo dalla mente. Il suo unico desiderio è quello di rivederlo, i suoi pensieri sono focalizzati sull'analisi di una vita immaginaria, paragonandosi costantemente ai suoi sogni infranti e sperando in una rinascita ipotizzando quella del mister mistero, come lo chiama lei, dagli incredibili occhi indecifrabili. 

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