Chrisell

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Mi crogiolai fra le lenzuola. Inspirai il profumo di mandorle, con un retrogusto di vaniglia. La coperta mi scoprì un lembo di pelle ma mi affrettai a ricoprire tutto per bene, attentamente. Non potevo concedermi il lusso della brezza marina o il mio corpo ne avrebbe risentito. Non sarebbe più stato puro, non sarebbe stato abbastanza. Doveva andare bene.

Il riflesso dell'alba costrinse le palpebre ad abbassarsi, un istinto naturale con il solo scopo di proteggermi. Proteggere le iridi color smeraldo che brillavano al posto dei miei occhi. La luce mi accecava.

Spostai lo sguardo altrove, concentrata su i miei ricordi sfocati, sugli obiettivi prefissati e i traguardi da raggiungere. La giornata era appena cominciata ed ero già stanca. Stremata al solo pensiero di ciò che mi aspettava non appena i miei piedi avrebbero nuovamente toccato terra. Non volevo alzarmi, non ora che i raggi solari erano riusciti ad oltrepassare lo spesso vetro, riscaldandomi. Da quanto tempo non percepivo la sensazione di calore trasmessa dal sole? Da quanto tempo la mia pelle ambiva così intensamente di essere anche solo sfiorata dal cielo, dalle nuvole, dall'aria fresca del mattino e dal suono del cinguettio degli pettirossi? La risposato la conoscevo: troppo.

Qualcuno bussò. Un rumore incessante e fastidiosamente allarmante. Più il ritmo si infervoriva più i battiti del mio cuore aumentavano, accelerando in maniera incontrollata. Avrei voluto scappare, lontano, svanire nel nulla e ricomparire fra cent'anni, forse mille, forse mai. Ma ero ancora lì e, sebbene sapessi chi ci fosse dall'altro lato della porta, sperai con tutto il cuore di sbagliarmi, di svegliarmi e ritrovarmi da tutt'altra parte. Non era la realtà, non poteva esserlo. Ma la porta s'aprì.

Un profumo costoso e rivoltante si disperse per la piccola stanza, infettandomi le narici, bruciandomi i neuroni. Un peso alla bocca dello stomaco mi impedì di muovere un solo muscolo, di pronunciare una sola parola. Ero bloccata, come sempre.

E mentre lo spazio si restringeva sempre di più ad ogni suo passo verso la mia direzione, il martellare incessante al centro del petto mi permetteva a stento di respirare. Cercai ossigeno annaspando, ma la gola non ne voleva sapere di aprirsi e il mio naso si rifiutava di inalare ancora una volta quell'odore nauseante. Sarei morta soffocata. E lo volevo davvero, Dio, lo desideravo con tutta me stessa.

«Chrisell, cara. Vedo che sei già sveglia.» la voce roca, il tono imperioso. Per quanto queste parole potessero risultare gentili, lo sguardo affilato e il sorrisetto beffardo che gli incorniciava il volto mi provocarono un senso di nausea, il ribrezzo al limite dell'esofago. Non risposi.

«Deduco che il tuo sonno di bellezza sia terminato da poco, non essendoti ancora alzata.» le sue parole accomodanti risultarono false a causa della sua espressione malvagia, perfida. In tutto ciò continuai a chiedermi che senso avesse avuto bussare, essendo ad ogni modo entrato a suo piacimento, poi riflettei sul fatto che volessi rispondergli con un: "non mi sono ancora alzata dal letto perché so cosa mi attende", oppure; "sonno di bellezza un corno, poiché nell'aspettare trepidante di addormentarsi ed avere il costante timore di svegliarsi non c'è niente di bello"; ma dalle mie labbra ancora niente. Lui mi fissava, ostentando una simpatia che non gli apparteneva, fingendosi davvero interessato a me per motivi futili, e non per ciò che davvero nascondeva. Comprese che non avrei parlato, non era la prima volta che mi ostinavo a chiudermi in me stessa, e non sarebbe stata nemmeno l'ultima.

«Bene, lasciamo i convenevoli a un'altra volta, quando magari ti degnerai di rispondermi, mostrando il rispetto che merito.» e si avvicinò. La camera da piccola divenne minuscola. Asfissiante. Incamerai aria mentre mi intimavo di restare calma, di non mostrare debolezza, di non avere paura. Paura. Si trovava al bordo del letto. Lo osservai mentre si sedeva sulle lenzuola sfatte, per poi cambiare idea e cominciare a gattonare verso di me, con uno strano luccichio negli occhi e lo sguardo assassino, il solito sorriso compiaciuto di chi sapeva di avere la preda in pugno. Deglutii, faticai ad ingoiare la saliva, ed il suono che produsse preludeva ciò che sarebbe accaduto. Fatica. Sofferenza. Impossibilità.

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