Illusioni

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Lo sognavo ogni notte.
Ripetutamente.
Terminavo solo all'alba, quando i raggi ancora tiepidi del sole illuminavano la stanza. Nonostante fossi sveglia da un po', le immagini della notte precedente continuavano a tormentarmi, affollandomi la mente e ingannando i miei deboli sensi. Mi sembrava di percepire il suo profumo, quella colonia fresca e inebriante che mi procurava brividi sotto pelle non appena ne inalavo l'odore. Vedevo ancora il suo volto davanti allo specchio, proprio accanto al mio riflesso; la sua figura alta e prestante, i suoi occhi blu profondi come l'oceano.
Non sorrideva.
Il mio corpo esile stonava accanto al suo, la sua presenza ingombrante sembrava voler imporsi su di me fino a schiacciarmi, lasciandomi senza fiato. Non aveva un solo accenno di sorriso sul viso squadrato. Era mortalmente serio, mi intimidiva come non aveva mai fatto prima, quando era ancora lì con me, al mio fianco, con il suo sguardo limpido e affettuoso e i suoi denti bianchi ad illuminarmi la giornata.

Avevo una paura fottuta, temevo di star impazzendo. Ero preoccupata per la mia incolumità, per la mia salute precaria e, soprattutto, per il mio stato mentale decisamente confuso. Avevo le allucinazioni, non c'era altra alternativa. Vedevo il mio defunto marito vagare per casa, passarmi il telecomando, cucinare per me tutte le sere. Sentivo la sua presenza laddove c'era solo vuoto, solo dolore. Percepivo le sue carezze, mentre mi addormentavo sul suo lato del letto, con la speranza che al mio risveglio sarebbe stato ancora lì ad aspettarmi, pronto a regalarmi il suo sorriso più fiero, a farmi ridere fino a sentir male alla pancia, a rendermi felice come solo lui era in grado di fare.
Ero diventata matta, non avevo altre scusanti.
Così, continuavo a comportarmi come se nulla fosse successo, a sognarlo la notte e a parlarci di giorno; ad augurargli buona giornata e a preparare la cena per due, il suo vino preferito e la partita di baseball in onda sulla tv. Io odiavo il baseball, ogni volta accettavo di vederlo solo per lui, per renderlo contento e, in fin dei conti, per rendere anche me contenta alla vista della sua gioia dopo una vittoria tanto attesa. Avrei potuto spegnere tutto e non udire più una sola parola inerente a quello stupido sport, ma sembrava essere l'unica voce reale rimasta capace di ricordarmi la sua. Come se, osservando lo schermo, avrei potuto sentire nuovamente le sue esultazioni, i suoi rimproveri, i suoi incitamenti. Come se, cercando di comprendere le regole della partita, mi sarei sentita più vicina a lui, rendendolo orgoglioso per il mio impegno, sentendomi parte di un unico apprezzamento.

Mio marito non era morto, non davvero.
Non poteva esserlo.
Per lo meno, non per me.
Io lo vedevo ogni giorno: chiacchieravamo per interminabili ore senza mai stancarci e passavamo la notte ad amarci e abbracciarci in luoghi sconosciuti nei meandri della mia mente. Allo specchio però, non sembrava più lui. Con quello sguardo ombroso e le labbra dritte in una linea inespressiva, le sopracciglia aggrottate e il lineamenti del viso affilati, taglienti. Di fianco a me, con quell'espressione ostile e i muscoli rigidi, mio marito rispecchiava per la prima volta l'atroce verità: lui era morto. Era stato trovato steso per terra, in una pozza del suo stesso sangue dall'odore nauseante, una gamba mozzata, un braccio schiacciato; gli organi interni si erano accalcati tra di loro, distruggendosi fino a lacerare la pelle, dove tagli ed ematomi non permettevano di facilitare l'indagine. Il collo si era spezzato, il corpo era un insieme di budella e ossa rotte. L'unica cosa rimasta intatta in quello che ormai non poteva più essere considerato una persona, era il suo volto. Stranamente, sebbene non fosse rimasto più nulla di integro in lui, mio marito era lì, con gli occhi spalancati, la bocca leggermente aperta e quel suo viso che, anche se tumefatto, rimaneva bellissimo.
Lo amavo da morire.
Anche se, alla vista del suo cadavere, il vomito mi era risalito per l'esofago bruciandomi la gola, io lo amavo lo stesso modo. Anche se di lui non rimaneva più niente che un ammasso di detriti inutili e putrefatti, io lo amavo come il primo giorno, forse di più. Ero stata io ad essere corsa in obitorio per riconoscerlo, a scrivere i suoi dati, a firmare e depositare. Ero stata io ad organizzare il funerale, a contattare tutti i parenti e gli amici più stretti, ad occuparmi della burocrazia. Ed ero stata io a scoppiare in un pianto talmente straziante da sembrare interminabile, ad essermi affogata tra i conati e i singhiozzi, ad essere crollata al suolo per poi sentire la trachea graffiarmi a causa del grido disumano che mi aveva lacerato dall'interno. Con una disperazione e una tenacia che non sapevo di possedere mi ero strappata le mani di dosso dei poliziotti, mi ero distesa di fianco a lui e in silenzio avevo continuato a piangere come se, in qualche modo contorto, lui avrebbe potuto consolarmi, rassicurandomi con le sue parole dolci.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 14, 2023 ⏰

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