L'universo, allora, era piccolo. Vi si viaggiava con un cenno del pensiero. Il Tempo catturato in una mano. Lo Spazio in un respiro. Tutto era meraviglioso ai nostri occhi. Popoli di ogni specie ci adoravano. Come granelli di sabbia noi ci giocavamo. Noi che eravamo la clessidra. Ricorda questo Sogno quando ti sarai svegliato. Ricordati di noi e di ciò che eravamo. Ti prego, ricordati di noi.
Iscrizione di ignoto sulle mura di Alban.
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Sapeva che la gravità del pianeta errante con cui stava per entrare in collisione lo avrebbe rallentato facendogli perdere il poco vantaggio che aveva. L'alternativa era passare attraverso una vasta regione di pianetini e rocce gelate, che lo avrebbero costretto a zigzagare all'infinito, prima di sbucare dall'altra parte.
Tanto valeva fermarsi e ammettere la sconfitta!
Vide il suo amico, Kirh, guadagnare terreno e decise di affrontare il pianeta. Nell'avvicinarsi notò che era abitato. Probabilmente si trattava del mondo-astronave di una qualche specie inferiore che tentava la fortuna in quella desolata parte dell'universo. Improvvisamente si sentì attrarre verso la superficie, punteggiata da città luminose.
Diede un ordine perentorio e il suo corpo esplose, vaporizzandosi in una nuvola di materia atomica, colma della sua identità. La nuvola collise con il pianeta, lo attraversò e sbucò dall'altra parte nel tempo di un respiro. Hiram riprese la sua forma umana e proseguì la sua corsa mozzafiato.
Si voltò e notò che l'amico lo aveva quasi raggiunto. Accelerò il volo con un cenno del pensiero, vedendo sfilare intorno a sé nebulose e pianeti, stelle e buchi neri, come nastri di tessuto sferzati dal vento.
Avvertì la pressione della velocità affondare sul suo volto, l'aggressione del vuoto cosmico schiacciargli i polmoni. Gli occhi cominciarono a lacrimare.
Quel corpo da bipede evoluto, il suo corpo, disceso dagli alberi agli inizi della storia umana, bisognoso di cibo, aria e riposo, quel corpo fragile e mortale gli rimproverava costantemente di non essere fatto per lo spazio profondo, né per quella folle gara di corsa. Ma la mente che viveva in esso lo aveva soggiogato e vinto, trattenendolo in una morsa d'acciaio.
Hiram spinse ancora una volta la sua forza di volontà al limite. Galassie ora saettavano ai suoi fianchi, sopra e sotto di lui e attraverso il suo essere rarefatto, rapide come lampi di luce.
Kirh scivolava fulmineo nel vuoto siderale cercando di raggiungerlo, ma si era distanziato troppo. Non aveva speranze di vincere.
L'universo sembrava così piccolo adesso, come un rigoglioso giardino dove due bambini giocavano rincorrendosi. Hiram scoppiò a ridere, sentendosi un ragazzino, libero da preoccupazioni. Semplicemente felice di esistere, felice di volare alla rapidità del pensiero.
Ricordava quanto avesse sofferto da piccolo, rinchiuso dentro la cupola protettiva del Nido che l'aveva cresciuto. Benché il mondo esterno fosse letale per lui, e la sua mente ancora immatura, non aveva desiderato altro che uscire e sfiorare quel cielo che sembrava irraggiungibile. Quella voglia di libertà non l'aveva mai abbandonato.
Ebbro di luce e velocità cominciò a volteggiare giocando con i corpi celesti che incontrava. Dimenticandosi della sfida.
Quando fece rientro a casa, trovò l'amico ad aspettarlo davanti alla porta, a braccia conserte, intento a fissarlo.
«Puoi toglierti quel ghigno dalla faccia. Ti ho lasciato vincere,» commentò passandogli accanto.
«Hiram,» esclamò questi, scuotendo la testa e facendosi cupo in volto, «quand'è che prenderai sul serio una competizione? Ti lasci distrarre troppo dalle emozioni. È segno di una mente indisciplinata. Non ci è stato insegnato a essere deboli.»
Aggrottò la fronte stupito da quella critica decisamente aspra. Si conoscevano da ragazzini, erano cresciuti sul Pianeta Sovrano Alfhemir, educati dai maestri più illustri e sapienti, accolti nei ranghi delle Caste Imperiali come raffinati rampolli della migliore aristocrazia. Si erano sempre aiutati tra loro con la massima fiducia, eppure da qualche tempo Kirh era cambiato. Sembrava non riuscisse più a trovare qualcosa che lo rendesse felice e, quel che era peggio, aveva smesso di cercare. Dalla morte del padre era diventato cinico e distante.
Hiram sollevò le spalle, cercando di alleggerire la conversazione: «Spero che tu sappia ancora cosa vuole dire divertirsi.»
L'espressione sul volto dell'altro s'indurì: «Io governo l'Impero degli Hanar, un Impero che mio padre ha retto per cinquemila anni di ordine e prosperità, non posso permettermi lacune d'alcun tipo. Ti ho sfidato per esercitarci insieme e tu hai trasformato questo allenamento in una burla. Ho perso il mio tempo, e tu il tuo. Riflettici quando qualche zelante servetto della Casta ti chiederà perché il tuo occhio sinistro ha un capillare spezzato.»
D'istinto Hiram si portò una mano al viso e immediatamente ebbe la percezione di quello che stava vedendo l'amico: un capillare spezzato che minacciava l'iride verde smeraldo. Sentì le guance avvampare di vergogna mentre l'ecchimosi scompariva in un istante, dietro suo ordine mentale.
Rimase in un silenzio sconvolto. La regola dell'unità corpo-mente doveva essere osservata sempre, senza eccezioni: il corpo segnalava ogni disarmonia nel suo funzionamento e la mente ne doveva essere immediatamente consapevole.
Ebbe un brivido di paura. Come aveva potuto essere così avventato?
Sollevò lo sguardo sulla nana bianca attorno alla quale gravitava Alfhemir. Il cielo, saturo d'ultravioletti e nuvole di miscele gassose, gli restituiva un'immagine soave e cangiante, ma anche minacciosa e venefica.
La Capitale, ai piedi del promontorio dove sorgeva la sua abitazione, risplendeva sotto di loro, estendendosi per oltre un terzo della superficie del pianeta. Non c'erano flora né fauna spontanee a causa della temperatura e delle radiazioni nocive della stella. La sterile terra, di un caldo colore ambrato, veniva spazzata da venti impetuosi che cozzavano senza alcun potere contro le dimore traslucide.
L'istinto di sopravvivenza gli diceva che vivere in un luogo simile fosse impossibile. Lo stesso istinto che l'aveva relegato a crescere in un Nido, osservando con timore la natura ostile intorno a lui fino all'età di otto anni quando la sua mente si era aperta alla Conoscenza.
Poteva scorgere, anche ora da dove si trovava, i campi dei Nidi gestiti dagli schiavi, che dipendevano come i loro protetti da aria, cibo e riposo e da un ecosistema favorevole alla vita.
Che il mio controllo stia svanendo? Si chiese Hiram. È davvero possibile perdere la Conoscenza?
Con un brivido volse le spalle all'amico. Non riusciva neppure a immaginare l'incubo di una vita limitata nel tempo e nello spazio. I dubbi si affastellarono nella sua mente. Non percepì neppure che Kirh lo lasciava solo. Con i suoi pensieri.
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La scelta dei Sarvanni (Ciclo di Hanar vol.4)
Science FictionUn potere in grado di modificare la realtà, bramato da un imperatore avido, un eroe improbabile e una neonata da salvare, conditi da un amore nato dalle ceneri di un rancore atavico. Questo è "La scelta dei Sarvanni". Il cuore di tutto: le scelte, c...