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«Ti concederò di vivere in nome della nostra amicizia, se lasci immediatamente la bambina... Lei è mia

La piccola Saskia sospirò nel sonno, accoccolata al sicuro tra le braccia di Hiram, incurante della minaccia che incombeva sulla sua vita.

Attorno all'Imperatore l'aria sfrigolava minacciosa come se lo spazio stesso si curvasse. Fremeva nello sforzo di trattenere il terribile potere appena appreso. Era evidente che ne controllava a stento la potenza, come se avesse finalmente trovato qualcosa più forte di lui. I suoi occhi si erano trasformati in abissi di oscurità: la pupilla esplosa nel momento in cui aveva assimilato la nuova Conoscenza aveva invaso iride e sclera.

«Per l'ultima volta, dammi la bambina e vattene

Hiram fece un passo in avanti. Nei suoi occhi c'era una luce minacciosa. «Non l'avrai, finché sarò vivo.»

Esitò, sorpreso dalla reazione decisa dell'amico: «Non sei abbastanza forte per opporti a me. Non lo sei mai stato.»

Hiram fece una smorfia amara: «Nessuno lo è. Hai trasformato te stesso in un mostro e l'Impero in un'oscena allegoria di civiltà. I tuoi sudditi sono persi nella ricerca convulsa di Sapere e non si accorgono che il loro cammino è macchiato di sangue. Tu sostieni che questa sia "evoluzione", che quanti ci circondano siano solo insetti senza importanza. Non condivido più tutto questo.»

«Quante belle parole! Credevi davvero che ignorassi le tue visite alla madre della piccola Sarvanni? So che hai anche aiutato la schiava degli Ilory a fuggire, per questo parli così, hai permesso a tutti loro di influenzarti. Ti ho osservato senza intervenire perché mi fidavo di te.» Sollevò gli occhi al cielo. «Per le stelle! Ti ho offerto un posto al mio fianco... non credevo fossi così debole da lasciarti coinvolgere dalle sottane di una donna. Dimmi dove l'hai portata, così potrò perdonarti questa follia.»

«Non la troverai mai. È nascosta perfino ai tuoi occhi.»

Kirh esplose in un'imprecazione oscena. «Dunque hai sempre avuto segreti per me! Credi davvero di potermi fronteggiare? Tu che non hai mai saputo vincere nemmeno in una sfida amichevole. Giochi come un bambino annoiato con cose più grandi di te. Posso farti svanire, lì sull'istante, prima ancora che tu abbia il tempo di formulare un pensiero.»

«Così come hai fatto per la stella di Alfhemir?» replicò Hiram. «Lo avverto già adesso: lo squilibrio gravitazionale porterà i pianeti di questo sistema a collidere tra loro o vagare dispersi nello spazio e di certo influenzerà i sistemi vicini. Milioni di vite saranno sacrificate per questo tuo capriccio. Hai pensato, quando distruggevi quella nana bianca, se per caso avevi anche il potere di ricrearla

«Nessun hanar morirà per ciò che ho fatto, ci trasferiremo semplicemente su un altro sistema. Già adesso i miei agenti stanno evacuando i Nidi. Ti sfugge il punto, Hiram: oggi ho dato dimostrazione di un potere al di là dei nostri sogni più arditi, consolidando le basi dell'Impero. Perché continui a preoccuparti degli altri popoli? Non rappresentano nulla.»

«Siamo stati così anche noi in passato, ma ci è stato concesso il tempo di crescere.»

Kirh digrignò i denti: «Non intendi arrenderti, vero?»

Hiram scosse la testa, serrando le mani a pugno. «Dovesse costarmi la vita.»

«Ed è ciò che ora perderai.»

Il colpo non arrivò da una direzione precisa: un denso miasma lo circondò, diffondendosi intorno a lui. Le pareti della stanza scricchiolarono e il pavimento tremò sotto i suoi piedi. La pelle delle sue mani, che ancora stringevano la bambina, si fece evanescente. Poi un vuoto, un nulla terribile, lo avvolse nelle sue spire.

Prima di rendersi conto di quello che stava accadendo, si sentì scivolare sulle ginocchia, incapace di respirare o anche solo di pensare. Un dolore acuto, feroce, gli trapassò le membra.

D'un tratto, tutto ciò in cui credeva, tutto ciò per cui stava lottando gli parve privo di senso, inutile. La tentazione di abbandonare ogni resistenza fu fortissima, ma Hiram sapeva che nel farlo avrebbe perso se stesso.

Udì il pianto della neonata provenire da molto lontano. Vide il suo volto livido e arrossato, gli occhi verdi che lo guardavano supplicanti e colmi di terrore in una silenziosa richiesta d'aiuto. Un ricordo fece breccia in lui quando, secoli prima, aveva sfidato se stesso in un volo prodigioso attraverso lo spazio siderale. Un ricordo di assoluta libertà: corpo e mente si erano fusi per qualche istante con il corpo e la mente stessi dell'universo e lui aveva trasceso il Tempo, catapultandosi da un punto all'altro della Raggiera Galattica in un singolo respiro. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno, nemmeno con l'Imperatore, né aveva più sentito la necessità di provare a sé stesso che era capace di sfiorare quei limiti, perché ciò che aveva sperimentato andava al di là dell'orgoglio personale, era qualcosa di prezioso, una felicità profonda che gli era rimasta dentro come un marchio indelebile. Adesso però era tornato il momento di riprovarci.

Strinse la piccola tra le braccia e ignorando gli spasimi del suo corpo si ancorò alla gioia di quell'esperienza ancora viva in lui. Il tempo si fermò dandogli modo di allontanarsi dal Palazzo, da Alfhemir e dal potere corrotto della Terra. L'istinto lo portò in un luogo sicuro. Un luogo dove il suo cuore si sentiva a casa.  

La scelta dei Sarvanni (Ciclo di Hanar vol.4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora