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I mesi passarono molto velocemente nella casa di fronde. Damasa, che non poteva avere figli suoi, trovava consolazione nel prendersi cura della piccola Saskia, amandola con tenerezza.

Sedeva ora su una panchina in riva al lago mentre la bambina giocherellava su una coperta stesa a terra lì accanto. Sfogliava un libro, ma senza leggerlo veramente.

Era una giornata calma e afosa, i pescatori in lontananza lanciavano ogni tanto un grido di saluto o un richiamo alle altre imbarcazioni. Minuscole onde concentriche arrivavano fino alla riva sciabordando lievemente senza fare troppo rumore. Schiamazzi e risa di bambini giungevano smorzate dalla fitta vegetazione dai giardini delle altre abitazioni disseminate lungo la riva. Su ogni cosa regnava una serena quiete.

Damasa amava tutto questo.

Il pianetino sul quale l'aveva condotta Hiram non era altro che un satellite roccioso, che orbitava attorno a un pianeta gigante deserto, con un antico sole rosso a illuminarlo. Gli abitanti appartenevano a una specie anfibia primitiva avulsa da qualsiasi tecnologia, vivevano pacificamente, raggruppati in pochi villaggi, sfruttando la poca terraferma a loro disposizione. Si trattava di un posto sperduto, lontano dalle rotte commerciali, dimenticato dall'Impero, povero di materie prime e poco interessante, anche dal punto di vista culturale o antropologico. Ma sapeva di casa. Era una Casa a tutti gli effetti.

E loro tre... una famiglia. O almeno, una sottospecie, sorrise. I suoi pensieri si rivolsero a Hiram, come faceva sempre quando lui non c'era, per illudersi di averlo accanto.

Non appena era stato in grado di reggersi in piedi, si era messo in viaggio per divulgare quanto era accaduto e organizzare un movimento di resistenza. Rischiava la vita di continuo perché l'Imperatore aveva messo una taglia sulla sua testa, chiunque avrebbe potuto seguirlo e rintracciare il loro nascondiglio, per questo Hiram evitava di tornare a casa, non voleva destare sospetti.

Damasa era consapevole che in tutta la millenaria dominazione hanar era la prima volta che l'esistenza dell'Impero, con le sue leggi e tabù, veniva messa in discussione. E colui che portava avanti questa protesta non era un semplice cittadino, ma qualcuno che era stato considerato un pari dell'Imperatore.

Ebbe un balzo al cuore quando Hiram comparve dal nulla dietro di lei. La bimba smise di giocare e sollevò il visetto affascinata mentre osservava quella figura snella girare intorno alla panchina e andarle incontro. Emise un gridolino deliziato e gattonò verso di lui, esibendo un esuberante sorriso sdentato.

Hiram si piegò su un ginocchio e lasciò che la bambina si arrampicasse sulla sua gamba, l'avvolse con un braccio, permettendole di giocare con il pendente di ametista che portava al collo, quindi sollevò lo sguardo su di lei, gli occhi verdi scintillarono nell'ammirarla.

«Ciao,» disse con un sorriso.

Damasa si sentì avvampare. Si era ripromessa di non rimproverargli nulla questa volta, né la sua costante lontananza, né la solitudine che aveva sofferto, invece non appena lo vide, una rabbia incoerente la fece sbottare: «Avevi detto una stagione... ne sono passate dieci. Ti ricordi ancora, vero, come mi chiamo?»

Si pentì all'istante di essersi espressa a quel modo, mentre il suo unico desiderio era stato quello di gettargli le braccia al collo e coprirlo di baci per fargli dimenticare tutta la stanchezza accumulata, tuttavia il sorriso di lui non svanì come lei aveva creduto. Divenne, anzi, una risata, così calda e coinvolgente che dopo un iniziale stupore trascinò anche lei. Ancora ridendo le si avvicinò, dandole quel bacio che lei non aveva osato chiedere.

Si misero a chiacchierare delle novità più importanti: il primo dentino di Saskia, il prezzo degli ortaggi che era aumentato vergognosamente, la ferita che Damasa si era fatta sulla gamba mentre andava a pesca... Dopo aver prestato attenzione e commentato tutte quelle piccole cose che appartenevano al loro mondo quotidiano, Hiram si sedette a terra, seguendo la bambina nei suoi giochi, e ammirando la superficie argentata del lago.

Stagliato contro lo scintillio dei riflessi nell'acqua, sembrava fin troppo magro e fragile, ma i suoi occhi erano ricolmi di luce. Damasa non poté fare a meno di notare quanto fosse cambiato. Ora che il suo viso era segnato da rughe di stanchezza, ora che sfinito sedeva a spalle curve. Era diventato più umano, pensò lei, e allo stesso tempo non era mai stato tanto lontano dall'umanità come in quel momento. Si rese conto di quanto potesse apparire rozza e insignificante al suo sguardo.

«E tu,» intervenne rompendo il silenzio, «cosa ci racconti? Che notizie porti dalle Contee?»

Lui annuì brevemente. Lo sguardo improvvisamente cupo, si fissò sull'orizzonte d'acqua davanti a lui.

«Ho trovato molti consensi, questa volta. Interi popoli si stanno armando per combattere contro il sistema della schiavitù. Gli hanar che li guidano e li consigliano sono nostri alleati. Hanno aperto gli occhi sul tipo di "civiltà" del terrore che l'Impero ha costruito e desiderano cambiare le cose.»

«Bene. È proprio questo che volevamo... che si rendessero conto dello sbaglio che stavano facendo.» Damasa inclinò la testa di lato: «C'è qualcosa che ti preoccupa?»

Hiram si passò stancamente una mano sul volto e disse: «Non riusciranno a sconfiggere l'Imperatore, non da soli e non allo stato attuale delle cose. Vedi, poche delle astronavi che sono partite in questi giorni arriveranno in tempo per vedere la fine di questa guerra, nessun popolo della Raggiera sa muoversi abbastanza velocemente. Il vero conflitto avverrà tra gli hanar e sarà deciso dagli hanar.»

«Ma tu sei forte.»

«Non abbastanza. La conoscenza che Kirh strappò agli Ilory lo ha reso inavvicinabile. Annienterà chiunque lo sfidi. Nessuno di noi può tenergli testa.»

«Non puoi fare altro.»

«Si, c'è una cosa che posso ancora fare. Una cosa che ci permetterà di avere un margine di vittoria.»

«Cosa?»

«Cercare i Sarvanni, e portare Saskia con me su Speranta, come avrebbe voluto sua madre. Forse loro sapranno come fermare la corruzione dell'essenza della Terra e se siamo fortunati ci aiuteranno. Avrei dovuto pensarci prima.»

Damasa si gelò sul posto. «Vuoi andartene da qui, allora? È per questo che sei tornato? Per dirmi addio?»

Lui si voltò a fissarla, turbato. «Io... lui non smetterà mai di cercarmi. Finora ho coperto brevi distanze, stando molto attento. Ma Speranta si trova fuori dalla Raggiera, oltre il confine, lui sentirà che sono in viaggio ed è molto probabile che riesca a rintracciarmi.»

«Questo significa che una persona in più ti rallenterebbe?»

«No, significa che se lui mi raggiunge, io non potrò fare niente per proteggerti.»

Damasa scese dalla panchina e s'inginocchiò davanti a lui. Senza tanti complimenti gli premette a forza una mano sul torace. «Allora non farti prendere,» disse in un tono che non ammetteva repliche.

La scelta dei Sarvanni (Ciclo di Hanar vol.4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora