«Perché non gli dici quello che vuole sapere? Perché vuoi ancora soffrire?»
«Alla fine ci riuscirà, otterrà le sue informazioni, ma si accorgerà che non è servito a nulla.»
Per molto tempo non le aveva rivolto parola, trovando pretesti per passare davanti alla sua cella, quasi per caso, e lanciarle uno sguardo fuggevole da oltre la parete traslucida che la imprigionava.
La sua era più di una semplice curiosità, c'era qualcosa in lei che lo attirava. Da quando aveva conosciuto la schiava Damasa e se n'era preso cura, sottraendola agli agenti imperiali venuti a "bonificare" la casa, sentiva un'esigenza incalzante di parlarle.
Una sera, sfruttando un momento di distrazione dei carcerieri, era riuscito ad avvicinarsi. Le aveva chiesto il motivo per cui non rivelava all'Imperatore ciò che voleva sapere. E lei, con voce stanca, aveva risposto che nonostante tutto lui non avrebbe ottenuto nulla.
Hiram si era allontanato per riflettere su quelle parole. Il giorno dopo aveva deciso di tornare, aveva affrontato lo sguardo incuriosito delle guardie, indifferente al fatto che presto Kirh avrebbe saputo di questa sua insolita visita.
Tarsha era livida ed emaciata, i mesi passati in prigionia e la gravidanza la stavano lentamente consumando. La sua infinita pazienza si stava esaurendo. Quando lo vide accostarsi, ebbe uno scatto di rabbia: «Che cosa vuoi? Ammirare l'animale da circo? Ti diverto, forse? Perché continui a tormentarmi?»
Hiram indietreggiò di un passo, cereo in volto.
«Mi dispiace,» fu tutto ciò che riuscì a dire.
Lei sospirò, lanciandogli uno sguardo di sbieco, «Che cosa ti dispiace? Ti dispiace che mio marito stia morendo sotto tortura? Ti dispiace che due hanar innocenti vengano trattenuti contro la loro volontà e trattati come criminali? Ti dispiace che io debba partorire questa mia figlia sapendo che il suo destino sarà più terribile di quello dei suoi genitori?»
«Vorrei poterti aiutare,» disse lui con un filo di voce, mentre le risate sommesse delle guardie lo raggiungevano dall'altra parte della stanza.
«Vattene,» fece lei volgendogli le spalle.
Hiram tornò diverse altre volte, ma lei non gli volle più parlare.
Tarsha partorì la bambina in cella. Il medico le concesse di tenere la figlia per qualche ora, non per compassione, ma perché l'Imperatore stesso sarebbe venuto a prelevarla per portarla in un Nido speciale, fatto costruire appositamente da lui nella Residenza Imperiale estiva su un altro pianeta.
Strinse disperatamente a sé la piccola, sapendo che non sarebbe stata capace di proteggerla o di ucciderla per salvarla dal destino che l'attendeva. Per qualche minuto la lasciarono completamente sola, senza nessuna guardia a sorvegliarla, nessun guaritore a controllare le sue condizioni. Erano sicuri di avere vinto ormai.
Fu in quel momento, che lo vide arrivare.L'amico dell'Imperatore. L'odioso hanar che l'aveva tormentata per tutti quei mesi. Si accostò alla parete traslucida e riferì ciò che lei aveva temuto di sentirsi dire in tutto quel tempo: «Mi dispiace... devo comunicarti che tuo marito è morto.»
Le ginocchia di Tarsha cedettero e lei si ritrovò a terra, singhiozzando e mormorando il suo nome: «Jared...». Tutti quei mesi... Il flebile filo di speranza che li teneva uniti. Era morto senza vedere sua figlia, senza un gesto affettuoso, senza una parola d'amore. Nessuno meritava una simile morte.
Una disperazione cupa si impadronì di lei, non le restava più niente, le avevano strappato tutto ciò che aveva di più caro aveva nella vita, ed era stato per colpa sua, aveva spinto lei Jared a non tradire la loro gente e lui per amore... per amore...
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La scelta dei Sarvanni (Ciclo di Hanar vol.4)
Science FictionUn potere in grado di modificare la realtà, bramato da un imperatore avido, un eroe improbabile e una neonata da salvare, conditi da un amore nato dalle ceneri di un rancore atavico. Questo è "La scelta dei Sarvanni". Il cuore di tutto: le scelte, c...