1.7 Someone like you

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Raven mise dolcemente a tacere il motore e non si mosse. Mantenne in equilibrio la moto per qualche istante prima di adagiarla sul cavalletto e scrutò il cielo d'inchiostro che sovrastava quello spazio immenso con le sue luci.

Era riuscito a tornare prima del previsto e fu grato ad Ailleann per la premura avuta quella mattina, di lasciargli una copia delle chiavi così da poter rientrare in qualsiasi momento senza dover svegliare nessuno.

Fece girare un paio di volte l'anello che racchiudeva il mazzo intorno all'indice, poi lo serrò in un pugno. Considerò il silenzio della casa, quindi si decise a smontare dalla sella e ad avviarsi verso l'ingresso.

Entrò e non accese nemmeno la luce. Era davvero un gatto, Raven: non aveva mai avuto problemi a muoversi in una stanza al buio. Attraversò il salotto e si fermò indeciso di fronte alla vetrata. Non gli sarebbe dispiaciuto chiedere a un po' di whisky di fargli compagnia prima di andare a dormire. Magari gli avrebbe dato una mano a prendere sonno. O a non sognare. O semplicemente a non sentire freddo.

Mentre valutava quell'idea, i suoi occhi si fermarono su un elemento che non apparteneva a quel panorama notturno, anche se sembrava fatto della stessa materia delle stelle: i capelli di Swan si muovevano nel vento, rilucendo in lontananza.

Raven si carezzò le labbra con un dito e mosse qualche passo in quella direzione. Lei era immobile, seduta sul bordo della piscina, e dondolava i piedi nudi nell'acqua. Lui piegò lievemente il capo e increspò le sopracciglia. Era più che abituato alle stranezze di Swan, ma aveva sempre tentato di convincersi che anche lei avesse un limite. Era evidente che quel confine, se davvero c'era, non doveva essere sempre così chiaro.

"Swan", mormorò nella notte.

La ragazza girò solo il capo, guardandolo oltre la propria spalla mentre la raggiungeva e le si fermava accanto.

"Sei impazzita? Fa un freddo del diavolo, che ci fai con i piedi a mollo?".

Lei tornò a fissare la superficie increspata dal movimento delle sue gambe come se quell'appunto non la riguardasse.

"L'acqua mi fa sentire tranquilla".

Raven non replicò. Sapeva cosa intendeva. Era la stessa sensazione che provava lui quando restava a occhi chiusi disteso sull'erba. Era probabilmente il motivo per cui Eagle amava tanto il volo e le vette più elevate. Quanto a Phoenix... be', quello è un problema suo!

Tornò a concentrarsi su Swan e sul campanello d'allarme che aveva cominciato a trillargli nella testa. Istintivamente agì come aveva sempre fatto: la prese per un braccio e la sollevò quasi a forza.

"Ok, ma adesso basta", le intimò mentre la rimetteva in piedi di fronte a sé. "Andiamo a contare le stelle da un'altra parte".

La guidò fino alla chaise longue in vimini che completava l'arredo del giardino, la obbligò a sedere sul materassino e le intimò di non muoversi. Tornò qualche minuto dopo con un paio di bicchieri che appoggiò sul tavolino e una morbida coperta che le sistemò addosso prima di sedersi accanto a lei e di afferrare il suo whisky.

Per tutto quel tempo Swan l'aveva lasciato fare senza protestare. Quell'atteggiamento remissivo era servito solo ad aumentare la sua preoccupazione. Il campanello d'allarme era diventato una sirena che strideva senza posa e Raven conosceva un solo modo per fare tacere quel frastuono. Spinse il secondo bicchiere tra le mani di Swan, affondò i gomiti sulle ginocchia e si tese a scrutarla con aria seria.

"Che ci fai qui, a quest'ora?", la interrogò senza troppi preamboli.

Swan gli lanciò un'occhiata desolata.

"Non riesco a dormire".

Raven contò mentalmente fino a dieci prima di parlare e la sua voce fu quasi un sospiro.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora