2.2 How to save a life

127 10 108
                                    

Raven schiuse lentamente la porta e la aprì fino a sentire l'urto del legno contro il suo definitivo ostacolo. Rimase immobile sulla soglia. Lasciò il freddo contatto con la maniglia, si abbandonò con la spalla contro lo stipite e guardò la stanza spoglia, il letto perfettamente rifatto, l'ombra che era scesa ad avvolgere tutto in un quieto grigiore.

Si torturò il labbro inferiore nel tentativo di ricacciare indietro il dolore. Quante volte quelle lenzuola erano state il suo rifugio? Quante volte l'unica culla che lo aveva convinto a dormire, il riparo contro i mostri crudeli della sua infanzia?

Swan era stata la sua ancora di salvezza per quasi sette anni. Era l'immagine più prossima dell'amore che era riuscito a crearsi nella mente. Swan aveva il volto di sua madre, le sue mani, il suo abbraccio. Era tutta la sua fantasia di bambino, e d'un tratto non c'era più. Come un battito di ciglia che cancella un sogno al risveglio. Solo una manciata di ore prima era ancora lì e il giorno seguente sembrava non essere mai esistita se non nel suo ricordo, nelle sue visioni.

Sentì una goccia che gli bagnava il bordo dell'occhio, minacciando di rovinare giù lungo la guancia. Raven la cancellò con la manica della camicia, con un gesto quasi rabbioso. Nessuno doveva vedergli versare una lacrima. A breve avrebbe compiuto dodici anni, era troppo grande ormai per piagnucolare come faceva Eagle.

Chinò le lunghe ciglia nere, abbassò lo sguardo a scandagliare il pavimento. Cosa ne sarebbe stato di lui, a quel punto? Tutti coloro che, in qualche modo, lo avevano amato, erano andati via e lui non riusciva a capire perché.

Sentì un calore improvviso avvolgergli la spalla. La stretta ferma di una mano lo fece sobbalzare. Si sforzò di recuperare uno sguardo indifferente mentre si voltava.

"Che ci fai qua, Raven?".

Gli occhi verdi del vecchio Phoenix lo scrutavano dall'alto. Non era uno sguardo minaccioso, il suo. Non lo era mai. Il più delle volte era preoccupato o divertito, ma in quell'occasione Raven non riuscì ad attribuirgli una vera identità. Decise di mettersi in salvo dal dover dare spiegazioni e si limitò a tacere. Si fece da parte, diede un'ultima occhiata fugace alla stanza, poi richiuse la porta in silenzio, così come l'aveva aperta.

L'uomo era ancora di fronte a lui e sembrava studiarlo. Il ragazzino sospirò. Nascondersi non serviva a nulla. Certi adulti sembravano possedere la capacità di capire tutto, e Phoenix in particolare era uno di quelli a cui lui non riusciva mai a sfuggire. Tanto valeva essere sinceri, allora.

"Phoenix", azzardò senza osare guardarlo, "a me piaceva Swan".

"Piaceva anche a me".

"Pensi che tornerà a trovarci qualche volta?".

L'altro lo squadrò per qualche istante. Sembrava indeciso su cosa rispondere o su come farlo.

"Non credo", disse con voce spenta.

Raven sollevò gli occhi grigi su di lui, cercando nelle pieghe del suo viso una speranza alla quale aggrapparsi con l'insensata, ostinata tenacia che posseggono tutti i ragazzini.

"Potrò andare a farle visita?".

"No".

Quella risposta fu secca, insindacabile. Per qualche motivo che non comprendeva, Phoenix aveva deciso di non lasciargli scampo. Raven chinò il capo, si fissò le scarpe senza interesse. Per quanto si sforzasse di trovarvi una logica, le decisioni che si prendevano in quella casa non avevano alcun senso per lui.

Un rumore di passi nel corridoio lo riscosse, mentre Phoenix si girava a osservare la sagoma che si era disegnata sul fondo del camminamento. Il Secondo Maestro andò loro incontro con aria tranquilla, come se si fosse trovato a passare di lì per puro caso. Sollevò il viso e sfiorò il ragazzo con i suoi occhi di ghiaccio.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora