3.10 The driving force of all nature

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Phoenix lasciò scorrere un'ultima occhiata lungo le pareti della stanza e sugli uomini che aveva di fronte. Quando incrociò lo sguardo del Maestro capì che la sua decisione doveva essere irrevocabile.

Non tentò più di controllare la furia del Fuoco. Si levò in piedi, allargò le braccia con un gesto ipnotico e lasciò che il potere della Fenice dispiegasse le sue ali di fiamma, dipanandosi nelle mille sfumature del rosso e dell'oro. Il suo calore investì tutti come una raffica di vento del deserto, bruciando loro gli occhi e la gola.

"Sicut phoenix multiplicabo dies", ordinò.

Guardò in direzione della bambina, che aveva dischiuso le labbra per scagliare contro di lui altre parole arcane, e si ancorò ai suoi occhi cerulei, come se quell'azzurro fosse l'estrema scintilla di luce cui voleva aggrapparsi.

"Et ros morabitur in ramis meis", furono le ultime parole che si udirono nella stanza.


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"Raven!".

Le note acute della voce di Swan ebbero il potere di sovrastare il frastuono dell'allarme e, allo stesso tempo, di infrangere la poesia di quell'attimo che lo aveva incantato. Strinse la spalla di Ailleann e la staccò dall'abbraccio di Charles.

"Adesso andiamo".

Sollevò il bambino, che si allacciò attorno al suo collo senza fare alcuna resistenza. Era gelato e tremava come una foglia. Lo agganciò a sé come meglio poté e uscì nel corridoio, andando incontro a Swan e alla minaccia che si aspettava di trovare.

Lei, però, era ancora da sola e non sembrava esserci nessuno sulle scale. Seguì la traiettoria del suo sguardo preoccupato e per un istante stentò a capire cosa l'avesse messa tanto in allarme.

"Phoenix...", mormorò lei in tono quasi rassegnato.

Più che udirla, Raven intuì quell'esclamazione soffocata. Nella semioscurità della rampa percepì la presenza del fumo che strisciava silente verso di loro, primo araldo di un pericolo più grande.

Così l'ha fatto, l'ha fatto davvero!

Fulham stava bruciando. Dal piano superiore, le fiamme dovevano essersi diffuse agilmente lungo gli arazzi, le tende e i mobili antichi. Non avevano idea di quanto tempo restasse loro per sfuggire a quell'inferno di fuoco. Non sapevano con esattezza quando Phoenix l'avesse scatenato o quanta intensità fosse riuscito a infondere nell'incendio. Se avesse dovuto valutarla in base alla rabbia che l'irlandese doveva avere in corpo in quel momento, Raven era piuttosto propenso a non farsi illusioni.

"Non importa", esclamò a voce abbastanza alta da farsi sentire dalle due donne che erano immobili al suo fianco, a fissare le scale, "dobbiamo provare ugualmente".

A quelle parole, Swan gli rivolse uno sguardo intenso, il primo da che si erano ritrovati là sotto. La paura che l'aveva segnata fino a un attimo prima era scivolata via dai suoi occhi in modo inspiegabile, sostituita da una diversa scintilla che la rendeva più decisa, più sicura di sé.

"Abbiamo l'acqua", disse. "Posso usarla come scudo".

Raven accolse con sollievo quel mutamento. Sembrava essersi svegliata da un brutto sogno e, per loro fortuna, l'aveva fatto in tempo. La versione isterica e fuori controllo di lei non sarebbe stata di alcun aiuto.

"Allora non perdiamo altro tempo", concluse.

Swan si mosse per prima. Non c'erano fiamme, ma l'odore acre di fumo cresceva gradino dopo gradino. Serrò la manica del vestito contro il naso e la bocca, e proseguì a testa bassa su per le scale.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora