2.14 Falling slowly

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La stanza era identica a come la ricordava ed era alquanto stupefacente, considerato che erano trascorsi vent'anni. In qualsiasi altra circostanza, Raven avrebbe ironizzato dicendo che quello era proprio il fascino dei palazzi antichi: la loro capacità di resistere allo scorrere del tempo. In quel momento, però, sentiva solo il fiato che gli veniva meno e nessuna voglia di scherzare.

Era lo stesso divano, le stesse suppellettili. Era come precipitare in un incubo ricorrente. A dispetto della sua esibita freddezza, sentì un conato di vomito bruciargli la gola e si affrettò a reprimerlo. Non poteva crollare proprio a quel punto.

Strinse la mano di Charles, forse un po' troppo, e lo guidò fino al sofà. Quando il bimbo si fu sistemato tra i cuscini, lui si guardò intorno per qualche istante. A differenza della prima volta con Swan, aveva l'assoluta certezza che li stessero osservando.

Tornò a fissare quegli occhi verdi che lo seguivano fiduciosi, in attesa. Sapeva cosa doveva fare, ma l'avrebbe fatto? Avrebbe condotto, una volta ancora, gli eventi alla loro estrema conseguenza? Deglutì a fatica, perché la gola gli si era seccata. La testa era una girandola di pensieri che non avevano alcuna forma stabile. Guardava Charles e vedeva Swan, e di fronte a quel ricordo ancora tanto vivo e presente desiderò poter fuggire.

Gli sembrava incredibile ritrovarsi lì, al punto di partenza, come aveva detto Eagle. Fino all'ultimo istante utile aveva voluto escludere la possibilità di un finale simile, ma evidentemente la Congrega voleva il suo nuovo Phoenix a qualsiasi costo. L'idea che gli si era formata nella coscienza nelle settimane precedenti, che fossero ormai decisi a sbarazzarsi dell'attuale Custode, raggiunse infine la sua compiutezza. L'attimo dopo tutto - pensiero, volontà, cuore - precipitò nel vuoto assoluto, nell'oscura sensazione che non esistesse più alcuna via d'uscita.

Raven prese un profondo respiro, poi come Giuda tese una mano aperta al bambino.

"Vieni, Charles", lo invitò.

Si sedette per terra, sull'ampio tappeto prezioso, e lo fece sistemare tra le sue gambe. Era così tanto più grande di lui che poteva stringerlo con un solo braccio. Glielo passò attorno alla vita, mentre con l'altra mano gli carezzava la pelle e intrecciava le dita a quelle minute del bimbo. Era così facile legarlo a sé che Raven ebbe quasi paura di stringerlo troppo. Il motivo era evidente: a differenza della piccola Swan, Charles si fidava. Era tranquillo, non stava facendo alcuna resistenza alla sua volontà. Il potere sopito del Fuoco era percepibile persino a lui, che non era il Custode dell'elemento più affine. Poteva sentirlo senza sforzo perché sapeva già che esisteva e dove andarlo a cercare. Non aveva bisogno di essere Eagle per far scaturire la fiamma. Gli sarebbe bastato girare una piccola chiave, fare scattare quel clic interiore e...

"Zio Rav, cosa stiamo facendo?".

Charles aveva reclinato la testolina fulva per cercare il suo viso che lo sovrastava. Quello sguardo lo fece vacillare.

"Non avere paura", mormorò, senza interrompere quel contatto.

Lasciò andare il braccio di Charles e poggiò il palmo aperto sul tappeto, mentre istintivamente lo serrava ancor più contro il suo petto.

"Stiamo per fare un nuovo gioco".

Charles si rimise composto, affondando la testa nell'incavo della sua spalla.

"Ok. Ma poi andiamo via?".

"Sì, Charles", rispose con difficoltà. "Poi andiamo via".

Premette ancor più la mano sulla superficie morbida e chiuse gli occhi.

"Treme!", esclamò con tono secco.

La Terra, come sempre, obbedì al suo comando e il pavimento sotto di loro cominciò a sussultare. Charles ebbe uno scarto di sorpresa e cominciò ad agitarsi tra le sue braccia. Tentò di girarsi, di cercare il suo viso e invocò il suo nome con voce squillante. Raven si impegnò a tenerlo fermo, ignorando ogni sua reazione.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora