2.6 Trying to get back to where it was

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Non l'aveva lasciata nemmeno per un istante. Il loro abbraccio sfidava l'infinito.

Le aveva tenuto il viso contro il suo petto per tutto il tempo e lei aveva ascoltato ogni suo respiro trattenuto, ogni sussulto.

Le ciocche scure si erano confuse tra i capelli argentei mentre le parlava piano. Non le aveva risparmiato nulla, nemmeno il più piccolo dispiacere. Mentre restavano stretti nella notte, uniti in quel contatto incredibile che sembrava proiettarli fuori dal mondo, Raven aveva raccontato ogni dettaglio. Aveva fatto rivivere per lei ogni sguardo, ogni movimento, ogni parola. Aveva ricostruito la memoria perduta di Swan con la propria dolente consapevolezza.

Lei era rimasta in silenzio, permettendogli di arrivare fino alla fine senza mai interromperlo. Con il fiato sospeso, aveva ascoltato, protetta dal suo petto, circondata dalle sue braccia, mentre la testa le andava a fuoco. I frammenti di quel ricordo cancellato riprendevano posto in modo sconnesso, eppure non poteva che credergli. Non poteva negare che tutto fosse vero. Crudelmente vero.

Quando la voce di lui si spense, nessuno dei due si mosse. Swan sentì che, se avesse perso il suo sostegno in quel momento, sarebbe precipitata. Si sentiva smarrita, incredula, confusa di fronte a qualcosa che sentiva di dover conoscere già. Si domandò se avesse mai davvero saputo chi era lei e chi era Raven. Si chiese quale fosse il vero scopo della loro esistenza e, a quel pensiero, sentì tutto il dolore di essere viva e di essere diversa.

Gli occhi le si riempirono una volta ancora di lacrime e si strinse ancor più contro Raven, incurante di avergli ormai inzuppato la camicia di pianto. Doveva di certo sentirle sulla pelle, quelle lacrime, ma forse non gli importava. Swan si accorse che anche lui stava piangendo silenziosamente, pur se tentava di nascondersi tra i suoi capelli con abilità.

"Mi odi, Swan?".

Quella domanda risuonò ovattata nell'ombra della notte, confusa dal loro abbraccio e dai leggeri singhiozzi di lei.

"No".

Quella risposta fu quasi un sussurro. Raven sospirò lievemente. Cercò di convincere se stesso, una volta di più, che doveva farsi bastare quel sentimento. Le aveva già chiesto troppo. Le aveva chiesto tutto. Non poteva avere altro da lei e quel pensiero gli spezzò il cuore.

"Vorresti il mio perdono?", gli domandò piano, ancora nascosta dal suo petto. "È questo che vuoi, vero?".

Lui la sbirciò da quella distanza che era davvero troppo, troppo ridotta per le esigue forze che gli erano rimaste, e si domandò se fosse quel contatto a permetterle di leggergli così chiaramente nel pensiero.

"È possibile", ammise.

"Non te lo darò", mormorò Swan contro la sua pelle.

Raven avvertì il colpo, le fibre del suo corpo che si tendevano per incassarlo. Faceva male, ma almeno era qualcosa che poteva comprendere. Era quello che si era aspettato fin dall'inizio. Si morse piano le labbra e annuì.

"Lo capisco".

"Non voglio perdonarti", ribadì lei, dopo una pausa che gli sembrò una silenziosa tortura. "Vorrei avere la forza per riuscire a ringraziarti".

La sua voce era ancora incrinata dal pianto, il suo respiro affannato e incerto. Sentendola tremare mentre tirava fuori quelle parole con la violenza di una mareggiata, a Raven mancò il terreno sotto i piedi. Gli sembrò che l'intero universo, attorno a loro e dentro di loro, si stesse condensando in un unico istante, per poi collassare in un solo movimento.

Mormorò il nome di lei come un tormento, poi lasciò scivolare le dita tra i suoi capelli, carezzandoli lievemente. Le prese il viso tra le mani e glielo sollevò per cercarle gli occhi. Erano rossi, tristi, umidi di rugiada. Cominciò ad asciugare le lacrime che le rigavano le guance con i polpastrelli. Come avrebbe fatto con la bambina che lei era stata. Come non aveva fatto anni prima, quando invece avrebbe dovuto.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora