2.5 Innocence lost

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Li avevano lasciati soli in una stanza, ma lui sapeva che qualcuno li stava osservando. Nascondersi davvero era quasi impossibile, a Fulham. Lui ci riusciva solo da qualche tempo e non sempre con totale successo. Gli c'erano voluti anni per capire che esistevano luoghi relativamente sicuri, dove sottrarsi alla loro vista.

In quel caso specifico, però, sapeva che avevano gli occhi dei Maestri puntati addosso. Poteva sentire il loro peso. Per quanto tutto fosse apparentemente tranquillo attorno a loro, la questione aveva agitato i vertici della Congrega per giorni. Era improbabile che avessero rinunciato a sorvegliarli.

Lei era rannicchiata su un divano, al centro del salotto. Lo spiava di sottecchi. I lunghi capelli di quell'assurdo colore argento le coprivano parte del viso e facevano risaltare ancor di più l'azzurro dei suoi occhi. Era davvero inquietante, quella bambina. Persino Eagle, che aveva sempre la stupida tendenza a fare amicizia con chiunque gli capitasse a tiro, se n'era tenuto alla larga. Niente di strano allora che lui, sospettoso e schivo di natura, non avesse mostrato alcun interesse nei suoi confronti.

In più, quella sua aria perennemente spaurita gli dava sui nervi. Sembrava fatta apposta per tirare fuori la sua aggressività sopita, per invitarlo a sfogare la sua crudeltà su qualcuno che si mostrava incapace di difendersi. Esattamente come era stato lui appena qualche tempo prima.

Ricacciò indietro quel pensiero e si ripeté una volta ancora che doveva solo eseguire il suo compito. Lui non doveva avere sentimenti. Lui era solo il Raven. Sarebbe stato sbagliato sia esercitare la rabbia, sia esercitare la pietà. Qualcosa che Eagle stentava ancora a comprendere, ma che lui aveva imparato benissimo.

Perché io voglio sopravvivere.

Si avvicinò al divano con passo morbido, si sforzò di apparire gentile. Le chiese il suo nome, scandendo la domanda in un inglese piano e comprensibile. Lei lo guardò sollevando appena il viso dall'ombra dei capelli e rispose.

Raven annuì senza sorridere. Odiava i bambini che avevano un nome.

"Rebecca", ripeté senza alcuna emozione nella voce. "Mi capisci quando parlo?".

Lei si limitò ad annuire.

"Bene. Vieni qui".

֍

Il ragazzo dai capelli neri si era seduto per terra, aveva allargato un po' le gambe, poi l'aveva invitata ad avvicinarsi tendendole una mano. L'aveva stretta senza troppa convinzione. Le faceva un po' paura, lui.

L'altro ragazzino, quello biondo, la scrutava sempre, ma sembrava solo curioso. Quello con i capelli d'inchiostro, invece, aveva tutto l'aria di chi non si curava della sua presenza ma, quando lo faceva, lei non riusciva a non tremare di fronte ai suoi occhi grigi. Anche se il suo viso era bello come quello delle creature magiche dei suoi libri di fiabe, aveva uno sguardo duro. E in quel momento era chiusa in una stanza proprio con lui.

Fu il timore che le incuteva ad azionare i suoi muscoli, in maniera quasi indipendente dalla sua volontà. Si fece guidare, si sistemò per terra tra le sue ginocchia e restò immobile, senza osare guardarlo. Sentì il calore del ragazzo sulla sua schiena curva, le braccia che l'avvolgevano da dietro, intrecciandosi attorno alla sua vita. La testa scura la sovrastava e il contatto con lui la fece irrigidire ancora di più.

"Rilassati", le mormorò, le labbra a sfiorarle l'orecchio, come se avesse immediatamente colto il suo desiderio di fuggire.

Rilassati aveva detto? Cosa voleva di preciso che facesse?

Nel dubbio, decise di non fare assolutamente nulla. Rimase a respirare piano, facendosi sorreggere, anche se quella situazione le sembrava solo strana e angosciante. Dopo qualche minuto sentì che la sua stretta si allentava. Le mani del ragazzo scivolarono lungo le sue braccia, sollevandole da terra. Le percorse in tutta la loro lunghezza, fino a intrecciare le dita alle sue. Operazione che non gli risultò per nulla difficile, dal momento che lei era tanto più minuta di lui.

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora