2.13 The Star

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Il sorriso di Swan era delizioso. A essere sinceri, era tutta deliziosa quando si presentò nel salone di Fulham e salutò i Maestri con un affetto che sembrava assolutamente autentico.

Il momento di confusione e rabbia che aveva rivelato poco prima sembrava svanito. Raven non poté impedirsi di guardarla con una punta di stupore. E di ammirazione, senza dubbio: Swan, la piccola umorale Swan, stava recitando la sua parte alla perfezione.

Quella sensazione di subitanea e precaria distensione, però, durò solo fino a quando il Primo Maestro lo trasse in disparte con discrezione.

"Hai portato con te Swan?", esordì con un tono che somigliava al biasimo.

Raven cercò di assumere l'espressione più innocente di cui era capace.

"Ho dovuto. Phoenix non avrebbe mai lasciato il bambino solo a me. E poi, se ben ricordate", proseguì rincarando la dose con un sorriso convincente, "è stata proprio lei a riconoscere l'ultimo Phoenix, a dispetto di ciò che tutti noi ci aspettavamo. Ho pensato che potesse essere utile".

Stava argomentando le sue motivazioni come se la faccenda non avesse grande rilievo, come se Swan fosse solo un trascurabile effetto collaterale. Il Primo Maestro lo studiò per un istante interminabile, soppesando quell'ultima informazione, poi sembrò archiviare l'argomento.

"Cosa hai detto a Phoenix?".

"Il solito", ribatté il ragazzo con aria svagata. "Una pura formalità".

"E Eagle?".

L'interpretazione di Raven raggiunse, a quel punto, la sua massima vetta. Se doveva fingere, tanto valeva recitare la parte fino alla fine senza alcun ritegno.

"Credevo di avervelo spiegato", sorrise allusivo. "Eagle, in questo momento, vuole stare il più lontano possibile da Swan".

L'uomo, però, non sembrava affatto in vena di simpatizzare con le sue ragioni.

"Non è il momento di scherzare, Raven!", tuonò, facendo subito rientrare il giovane nei ranghi della serietà richiesta dalla situazione.

"Non sono riuscito a recuperarlo", fu l'ammissione asciutta e immediata.

"Pazienza. Faremo a meno di lui".

Si mosse, come per comunicargli che la discussione era conclusa, ma Raven lo bloccò con tempestività.

"Con solo due Custodi", azzardò titubante, "la Prova è comunque valida?".

Quella domanda gli stava rodendo l'anima e l'attesa della risposta gli procurava un'ansia non palese, ma intensa. Il Maestro lo squadrò come se la questione che Raven aveva messo sul tavolo fosse di nessuna consistenza. Come se avesse voluto, una volta ancora, rimettere al suo posto un allievo troppo indisciplinato.

"Forse è giunto il momento anche per te di imparare qualcosa sulla Procedura, da Maestro e non da Custode: nella maggior parte dei casi, la Cerimonia è davvero una pura formalità. Una consuetudine elegantemente obsoleta che, però, fa contenti tutti. In verità, se emergono segni evidenti, la Prova è considerata valida e la vostra presenza non è affatto necessaria", chiarì con freddezza. "Quando invece non sono manifesti... be', esiste un Protocollo che tu dovresti conoscere, o sbaglio?".

Raven incassò il colpo come meglio poté. Strinse le palpebre per reprimere le emozioni violente che gli erano salite alla testa, ma fu solo un attimo. Subito ricordò a se stesso come doveva respirare, come doveva sorridere, come doveva modulare la voce per mostrare indifferenza.

"E Phoenix, allora?", domandò, cercando di apparire solo curioso di apprendere. "Perché tutto quello spettacolo per i gemelli?".

"Perché non erano più bambini, per questo abbiamo richiesto il vostro intervento. Il legame elementare tra Custodi è l'extrema ratio in caso di dubbio o anomalia, quando nessun altro Protocollo è applicabile".

Laminae [Great Work #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora