Capitolo 2

382 21 0
                                    

Simone non riuscì a chiudere occhio quella notte, peggio di qualsiasi altra. Si girava e rigirava nel letto fissando alternativamente, con due occhi sbarrati, le mura della sua stanza. Provò svariate volte a prendere sonno sforzandosi di serrare gli occhi ma ogni volta che lo faceva vedeva nel buio varie figure dalla forma non definita, astratta, che avrebbero dovuto ricordargli episodi passati o addirittura della giornata appena trascorsa ma lui non riusciva a capirci granché. E quando li teneva aperti, nelle sue orecchie non cessava la voce di Sofia che diceva: "la verità non si scopre a pelle. Quella è sensazione."

In effetti, lui che cosa poteva saperne della verità? Non è mai stato molto bravo su questo punto. E tutto parte dal fatto che le uniche due persone che avevano il diritto e dovere di essergli sempre sinceri, non lo avevano fatto: Dante e sua madre. Aveva sempre visto in loro l'amore puro, quello incondizionato, che nessuno mai avrebbe potuto disfare. E invece si sono ritrovati ad essere loro stessi gli artefici della rottura. Per un bambino che frequentava da un paio d'anni la scuola elementare, l'effetto fu simile ad una torre di carte che cade giù per un soffio di vento: per l'occhio distratto sembra qualcosa di inconsistente ma se si presta attenzione si sente benissimo il rumore che fanno le carte toccando terra, velocemente, tutte insieme. E ogni carta per lui rappresentava una certezza, un insegnamento, un pezzo di verità. E alla fine del gioco, quando il vento continua a soffiare sempre più forte, quello che resta è una tavola vuota.

Cosa poteva saperne della verità? si ripeteva, se tutto quello che ha ricevuto sono state menzogne su menzogne? Come possono due persone amarsi così tanto e da un giorno all'altro separarsi portando freddo nei loro cuori? E in quello del figlio, chiaramente. Così Simone crescendo si convinse che fosse giusto dare importanza alla prima impressione perché, ad ogni modo, scendendo più in fondo, ci sarebbe il rischio di rimanere scoperti. E lui non voleva buttarsi. Non solo per il timore di trovare bugie mascherate da verità, ma anche di scoprire che la sua sensazione fosse sbagliata.

E non sempre è qualcosa di piacevole.

È questo che ormai aveva imparato a fare e mai messo in discussione. Fino alla frase che Sofia gli pronunciò quella sera.

Possibile che avesse ragione?

Che, forse, se due persone ti hanno scottato talmente tanto non significa che lo faranno tutte?

Che, forse, lì fuori qualcuno davvero sincero e capace di amare realmente ci fosse?

Simone stava lasciando la porta aperta a tale possibilità, ma il sol pensiero di guardare dentro sé stesso e dentro gli altri lo terrorizzava.

E poi c'era quella cosa, quella dannata cosa che per tutta l'estate e ancora in quel preciso momento gli premeva alla bocca dello stomaco. E più ci pensava, più premeva. E più premeva, più bruciava.

Ciò che poteva fare, proprio per la paura che si trattasse di uno di quei mostri, era cacciarla indietro.

Andò avanti in questo modo fino al sorgere del sole quando si decise ad alzarsi da quel letto che, quel giorno, era diventato la sua trappola. Fece tutto come sempre solo più in fretta: mancavano ancora due ore all'inizio delle lezioni, ma rimanere nel silenzio più totale della sua casa lo stava annientando. Sapeva già che suo padre fosse sveglio a quell'ora ma per evitare di incrociarlo e subire una predica come buongiorno, aprì lentamente la porta di ingresso e dopo essere uscito la richiuse con altrettanta delicatezza.

L'ambiente attorno a sé non era ancora riscaldato del tutto, così il freddo che lo investì appena fuori dalla porta lo costrinse ad alzare il cappuccio della felpa sulla testa e a portare davanti la bocca il colletto della sua giacca. Poi si incamminò verso la bicicletta di suo padre, appoggiata sugli scalini della veranda esterna. Estrasse il telefono, cercò il suo contatto e gli scrisse:

Aerei di carta #simuel Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora