Capitolo 4

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Passarono diversi giorni dallo scontro con suo padre, durante i quali oltre a scambiarsi le battute necessarie per una minima relazione, tra i due non ci fu molto. Da un lato del ring vi era Dante che cercava di trovare i giusti modi per avvicinarsi a lui, per riprendere il discorso e dirgli che gli voleva tanto bene, e si arrabbiava con sé stesso: anni e anni di studio e quando ci si ritrova nelle situazioni delicate le parole non si trovano mai. E dal lato opposto del ring, seduto sullo sgabello, Simone rimuginava sopra la questione mischiando rabbia e paura. Cercò in tutti i modi di distrarsi, di fare finta che fosse una cosa marginale: si immergeva nello studio con maggiore intensità e realizzava compiti e interrogazioni diligentemente, se non fosse che sistematicamente ogni sera, prima di dormire quel poco che riusciva, crollava in un pianto.

Poteva ingannare la mente ogni volta che voleva, ormai era diventato bravo in questo. Ma quando il peso che si porta dentro cresce velocemente attimo dopo attimo, non si può ignorare la sua presenza. Nemmeno con la musica che ti spacca i timpani e ti penetra dentro. Il peso ti preme sulla testa, sulla schiena, sull'anima... e se non ci si riesce a staccarlo da soli c'è bisogno di aiuto. E Simone, che aveva sempre aiutato gli altri, si ritrovò ad essere gli "altri".

E un giorno di quelli trovò l'aiuto in Sofia. Le raccontò quello che Dante aveva fatto, come si era arrabbiato con lui e come da quel momento il suo stare male era aumentato, nonostante i tentativi di mascheramento. Le disse che aveva paura di confrontarsi con qualcuno e che se questo qualcuno gli avesse messo davanti agli occhi i mostri in carne ed ossa lui si sarebbe sentito inerme: senza armi per combatterli. E lei, potendo costatare dai suoi occhi quanto ciò che usciva dalla sua bocca fosse vero, non gli rimproverò di non averle detto niente perché capì che ci sono mostri così brutti che si ha difficoltà a condividere con chi ti sta accanto anche se, paradossalmente, più sono via meglio è. Si limitò solo a stringerlo fra le sue braccia e a sussurrargli vicino l'orecchio «io sono qui per te, qualsiasi decisione tu prenda. Sappi però di fare sempre quello che ti dà del bene e ti rende felice. E se questa strada può aiutarti a raggiungere questo obiettivo, io non ti mollo.»

Io non ti mollo. Le quattro parole che emersero da tutte le altre. La frase che, vuoi il contesto, vuoi la persona, vuoi la debolezza del momento spinsero Simone su quella sedia della sala d'attesa nello studio psicologico dell'amica di Dante. La stanza intorno a lui era accogliente: diverse sedie marroni attaccate lungo tutta la parente color panna, adornata da quadri che mostravano dipinti astratti di cui Simone non capiva il significato; ne vedeva solo colori e forme messi a caso.

Si chiese se la casualità fosse veramente il criterio applicato e che siamo noi a cercare la poesia ovunque, persino in immagini come queste.

Il centro della stanza era decorato con un tappeto rotondo dai cerchi di diversi colori richiamando quelli dell'arcobaleno e su di esso era collocato un tavolo basso con riviste e giornali, persino libri sulla psicologia. Simone inclinava la testa a destra e a sinistra per leggerne i titoli, quasi con un'ombra di curiosità nello sguardo.

Non c'erano altre persone sedute se non lui. A fargli compagnia solo l'astrattismo e le ondate di profumo alla lavanda che provenivano dal dispenser posto all'entrata.

Almeno l'ambiente esterno è carino. Pensò lui.

Direi, visto che l'ambiente interno era meno piacevole. Simone aveva il cuore che gli batteva forte nel petto e le mani sudate, sintomi che iniziò a sentire dal momento in cui appoggiò il dito sul tasto del campanello e non lo lasciarono stare. Muoveva le gambe agitato e passava dalle braccia conserte a strofinare i palmi sui pantaloni ad una vera e propria tortura delle dita, come se tutto questo servisse ad alleviare l'ansia. E più faceva questo, più si agitava, più il tamburo martellava.

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