Capitolo 11

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"Attimo: Spazio brevissimo di tempo, istante, momento [...] spesso sentito come irrefrenabile o irripetibile."

La mente di Simone, quella mattina, era stata messa in modalità aereo. Sospesa in aria fra le nuvole, viaggiava ininterrottamente attorno a quell'attimo.

Continuava a rivedere l'esatto secondo in cui si liberava dalla gabbia fatta di timore e appoggiava le sue labbra su quelle di Manuel, che al contrario erano fatte di tutto quello che di più bello al mondo potesse esserci.

Era un fottuto attimo. E di solito dovrebbero essere rapidi, passeggeri, sfuggenti... mentre quello non fu esattamente così.

Rapido certo, passeggero un po' meno.

Perché nonostante ieri era già passato Simone stava ancora vivendo tutte le emozioni e le conseguenze che quell'istante portava con sé. Come se stava accadendo di nuovo ripetutamente da quando ha aperto gli occhi quella mattina.

O come se non avesse mai smesso di accadere.

Perché se lo portò nei pensieri, se lo portò in sogno. Ormai lo aveva tatuato sulla sua pelle. Uno di quei tatuaggi piccoli che per vederli bisogna cercarli per bene ma grandi per il significato che possiedono che quando li trovi ogni tanto finisci per pensarci.

E lì su quell'aereo capitava alle guance di Simone di cambiare colore, quasi sul rosso, perché questo pensiero lo faceva vergognare tantissimo. Non avrebbe mai creduto di esserne capace: il suo lato impulsivo stava degenerando.

Un po' gli piaceva pure.

Ma ormai era successo e non si torna indietro, e francamente non avrebbe voluto cancellare niente. C'era una sola scena che avrebbe aggiunto in sostituzione al silenzio con il quale si lasciarono: chiedere a Manuel perché non l'ha respinto via.

Non si sarebbe mai aspettato che lui, così etero e così fidanzato, avrebbe ricambiato i suoi gesti e preso iniziative in certi punti.

Tutto suonava così bello e così assurdo.

Sapeva quello che avrebbe fatto: parlarne con Manuel una volta giunto a scuola.

Alla prima ora aveva lezione di educazione fisica e quindi si precipitò in palestra dove trovò già alcuni dei suoi compagni e il professore. La campanella non era ancora suonata e sperava che Manuel sarebbe arrivato presto tanto l'agitazione lo stava divorando. E aumentò quando entrò nello spogliatoio maschile e lo vide intento a parlare con i ragazzi.

«Oh buongiorno Simo!» fece un suo compagno.

Simone alzò la mano in segno di saluto mentre sfoggiava uno dei suoi migliori sorrisi finti e con gli occhi cercava di catturare l'attenzione di Manuel che gli diede un'occhiata veloce prima di tornare alle sue cose.

«Andiamo ragazzi? Oggi vi massacrerò a calcetto!» disse un altro suo compagno mentre uno alla volta lasciarono lo spogliatoio per raggiungere gli altri.

Rimasero soli.

«Ciao Manu.» la voce di Simone era così bassa e timida come non lo era stata più da un bel po' di tempo.

Manuel chiuse la cerniera dello zaino e lo sistemò sulla panca. Poi si girò verso di lui «ciao.»

Simone accennò un sorriso «Hai... Due minuti dopo la lezione? Dovrei parlarti.»

L'altro scosse la testa e fece una smorfia di disappunto con la bocca «De che dovemo parlà?»

Lui lo fissò negli occhi con la speranza che capisse senza che ci fosse ragione di dirlo a voce.

«Ah.» fece Manuel «Non ho niente da dirti anche perché niente è successo.»

«Come niente?»

«Niente Simo, niente. Lo capisci l'italiano o te lo sei scordato?!» il suo tono era stranamente aggressivo.

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