Capitolo 7

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Strano come la felicità duri di meno rispetto alla tristezza.

Come la luce svanisca velocemente inghiottita dal buio perenne.

Un corsista che vince la sua prima gara. Che arriva al traguardo, alza le braccia al cielo e mentre si gira verso gli spalti cercando qualcuno che l'abbia notato si rende conto di non essere accolto da nessun applauso. Anzi, una figura bussa alle sue spalle per dirgli che non ha fatto niente di speciale. Che il record è stato battuto da un altro.

Visto? Felicità, pochi secondi. Tristezza, molto di più.

Simone si sentiva come quel corsista. Aveva conquistato la sua prima medaglia e pronto com'era a condividere il suo orgoglio, subito venne frenato.

Passò un paio di giorni chiuso a casa giustificandosi con un'influenza passeggera, di quelle che è meglio non uscire per non prendere ricadute. E in effetti era proprio così: non sarebbe inciampato se non avesse incontrato determinate persone.

Non era rabbia, non c'erano motivi logici per esserlo. D'altronde, chiunque può chiedere a chiunque di passare una serata insieme e, perché no, provare ad andare oltre. Non si deve chiedere il permesso a nessuno.

Per l'appunto, in questa frase Simone si considerava nessuno.

Era fastidio. Fastidio perché per una volta era lui ad essere felice e gli altri dovevano solo stare ad ascoltare. Fastidio perché si era trovato costretto a zittirsi prima ancora che potesse parlare.

E nel frattempo, non c'erano dubbi che avrebbe sfoggiato il suo più bel sorriso.

Fastidio perché i chiunque in questione erano la sua amica più stretta e l'amico di cui si era innamorato.

Per quanto ci avesse potuto provare e per quanto si fosse potuto sforzare di convincersi che non avrebbe avuto possibilità e che questo sentimento sarebbe stato meglio sradicarlo prima possibile, non ce l'avrebbe fatta a mostrare indifferenza.

Davanti all'amore, come si può?

E se ci fosse stata anche la minima probabilità di potercela fare, non sarebbe stato quello il momento. Non era nel dimenticare che doveva consumare la sua energia. Ne aveva consumata molta per accettarsi e per avere consapevolezza del sentimento verso Manuel. Doveva semplicemente vivere a pieno questo suo nuovo stato.

Invece, si ritrovava come sempre a dover mettere al primo posto gli altri. A stare attento a non ferire nuovamente Sofia: oltre il rifiuto, non riusciva minimamente a pensare all'idea di doverle dire la verità così ferendola. Avrebbe distrutto la sua gioia e sapeva ne avesse tanta dentro sé, per come la sua voce risuonava in chiamata. Una ragazza così bella, dentro e fuori, meritava di trovare una persona che potesse apprezzare queste qualità che lui stesso, per ragioni ormai ovvie, non poteva manifestare se non con un'amicizia fraterna.

Proprio Manuel se doveva avvicinà a lei? Questa era la domanda principale che Simone si poneva senza sosta. Perché oltre alla cautela verso lei, sapeva di non poter sostenere a lungo lo sguardo di lui. Nei suoi occhi ci avrebbe visto loro due insieme a ricordagli la sfiga immensa che aveva avuto: prendersi un fulmine a pieno per un etero che ci prova con la sorella. La combinazione ideale.

Così per interi giorni ignorò i messaggi e le chiamate, trasformando la stanza nel suo nuovo habitat. Dante capiva bene che il malessere di Simone non era fisico e per quanto fosse stato sul punto di farlo, non era riuscito a parlargli. Durante i pasti Simone andava veloce per sbrigarsi, per tornare a chiudersi lì sopra dando l'impressione di non voler rivolta la parola, addirittura di non essere nemmeno guardato, visto. Aveva contattato persino Alice anche se inutilmente come immaginato: gli disse solo che lasciò Simone piuttosto tranquillo dopo la seduta ma non poteva dire oltre per il segreto professionale. L'altra soluzione che poteva prendere era di mettere al corrente sua moglie nonostante avrebbe preferito non farlo, non voleva si allarmasse senza motivo.

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