5.2 "Abbiamo detto di essere amici, no?"

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*

"Una canzone di qualche anno fa diceva:
forse non serve adesso più chiedere scusa
lo senti questo silenzio che pesa?"

*

La verità è che tutta quella vicinanza ha portato Simone a incupirsi.

E Manuel, che se ne è accorto subito, assapora adesso gli ultimi attimi in sella insieme, seduto quanto più vicino possibile dietro Simone, prima di doverlo dividere col resto della scuola alla festa.

Perché ne è sicuro, una volta messo piede lì dentro l'altro ragazzo cercherà di stargli lontano il più possibile, per recuperare la distanza persa nel pomeriggio.

Una volta giunti a destinazione, in pochi secondi trovano parcheggio e sono già avviati per raggiungere la palestra.

Il silenzio trafigge l'aria durante il loro tragitto, solo il rumore di sottofondo dei loro passi sul pavimento, che si dirigono svelti verso il luogo da cui proviene la musica lontana.

Quando varcano la porta, l'ambiente è già affollato di studenti dai più svariati ed eccentrici travestimenti.

«Vado a bere qualcosa» lo dice velocemente, Simone, avviandosi verso il tavolo allestito con gli alcolici camuffati fra le bevande analcoliche e del cibo distribuito su vassoi e piattini.

«Di già?» replica Manuel, di rimando, pur consapevole di non ricevere nessuna risposta.

Si limita a seguire con gli occhi i gesti del ragazzo, che raggiunge Aureliano intento a creare un drink in un bicchiere che poi Simone si affretta a togliergli dalle mani.
Lo porta alle labbra e inizia a sorseggiare, fa una smorfia perché, Manuel deduce, troppo forte.

E poi sospira.
Non vuole fargli la predica, non vuole essere pesante, Simone è abbastanza grande da decidere per se stesso e lui non ha intenzione di fargli da balia, né da fidanzato quale non è.

E a proposito di fidanzati, Pietro si avvicina a grandi falcate con le cuffie abbassate intorno al collo e la console abbandonata dietro di se, a suonare un brano anni novanta che, di solito, riesce ad accordare sempre la folla scatenata.

Indossa degli abiti neri, anche lui, con un fiocco strano e particolare che fa da papillon e la faccia dipinta di bianco, con due occhi cerchiati di tanto nero, le labbra ridotte a una striscia che continua anche oltre le estremità, delle linee brevi e verticali per tutta la lunghezza.

«Ehi, siete arrivati» Pietro dona un breve abbraccio a Manuel, che ricambia con una pacca sulla spalla.

«Da che te sei vestito? Sei 'no scheletro pure te?» domanda Manuel, osservandolo.

«Ehi! Occhio a come parli. Io non so' 'no scheletro qualunque. So' travestito da Jack Skeletron, il re delle zucche. Guarda, ci sta pure Zero vicino la consolle» indica un peluche, posizionato sulla sua postazione.

Manuel sorride «ma non hai il vestito adatto, solo con il trucco non ce sembri tanto Jack» e ricorda quante volte ha visto quel cartone di Tim Burton, soprattutto da bambino.

«Non l'ho trovato il vestito, me so accontentato del papillon gentilmente offerto da Amazon. M'è costato venti euro 'sto coso.»
«Te sei pazzo.»

Scuote la testa e infila le mani in tasca, stringendosi nelle spalle leggermente a disagio.
È stato costretto ad andare a quella festa, o meglio, si è lasciato convincere dal suo unico amico e da Simone. Per poi, adesso, doversi sentire quasi di troppo.

«Dov'è Simo?»

Simo.

Lo dice spesso, lo ripete da tempo, ma le orecchie di Manuel non riescono mai ad abituarsi a quel nome detto in tal modo, con morbidezza, con confidenza.

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